Caso Genovese, l’Italia è quel posto dove le vittime diventano colpevoli

L’Italia è quel Paese lì. Quel Paese dove una ragazzina stuprata per ore viene incolpata di ciò che ha subito. Quasi alla vigilia della giornata internazionale contro la violenza sulle donne, il caso di Alberto Genovese riapre la vecchia questione, purtroppo ancora viva, dell’inversione di ruoli tra vittime e carnefici.

Alberto Genovese. Un nome, un cognome, una vita di droga e di eccessi. Almeno, questa è l’immagine che di lui circola ormai ovunque, sui social, in tv, nei Tg. Una vita, la sua, di sballo e di feste nella sua Terrazza Sentimento, quella Terrazza che chissà quante cose ha visto e che solo ora emergono, gettando ombre su una vita che sembrava essere perfetta. Della dipendenza da cocaina, il fondatore di Facile.it ne ha parlato lui stesso, riconoscendo il suo dramma e la sua incapacità di staccarsi dalla droga, oltre che la sua totale assuefazione che lo ha portato ad essere altro da ciò che sapeva di essere. E lo ha portato a violentare una ragazza di 18 anni che quella sera si era recata alla sua festa salvo poi trovarsi intrappolata in quella camera dell’orrore, legata e violentata per ore.

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Si dovrebbe parlare di lui, solo di lui, in questi giorni. Si dovrebbe tutt’al più parlare di lei come vittima, solo vittima, e nient’altro. E invece accade che le cronache – alcune – raccontano un’altra versione. Non su di lui si concentrano i dubbi, le accuse, i sospetti; ma su di lei. Lei, “che avrebbe potuto evitare di recarsi a quelle feste pericolose”. Lei, che “di certo voleva quello”. Lei, che voleva solo soldi e notorietà. Sono questi solo alcuni dei commenti che circolano in queste ore sul web. Ma c’è anche chi si spinge oltre. E così si arriva a parole, parolacce, offese, accuse. Si deve difendere, la ragazza, non più da ciò che ha subito ma da ciò che sta ancora subendo. Deve avere paura di raccontare per paura delle critiche che, come un boomerang, le tornano indietro. Ma la domanda è, perché?

Non lo sapremo forse mai. Non sapremo cosa spinge, la gente, a scagliarsi contro le vittime additandole come carnefici. Intanto, come spesso accade, un’ondata di solidarietà e controcorrente si è mossa sui social, con la complicità anche di diverse influencer che hanno preso le parti della ragazza. Legittime le opinioni, comunque; e legittimo anche che si pensi che la ragazza non fosse proprio all’oscuro di certi contesti e certi luoghi che, a dire di molte persone del posto, erano risaputi. Ma, se anche fosse, non giustifica pensare, neanche lontanamente, che quella ragazza se la sia in qualche modo cercata. Nessuno cerca il male, magari qualcuno lo agevola. Ma non lo vuole, non lo desidera, non lo scatena. Quella ragazza non è colpevole; è solo una delle moltissime vittime che, in Italia, rischiano di passare come carnefici.

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