Decreto carceri: 5 mila detenuti a casa, ma non i condannati per mafia

Il nuovo decreto-legge prevede la possibilità di ottenere la detenzione domiciliare per 5 mila detenuti, ma non per tutti.

Covid, allarme contagi nelle carceri: mandati a casa 5 mila detenuti
Credit: Pixabay

Misure diverse rispetto a quelle adottate a marzo

L’allarme dei contagi crescenti nelle carceri italiane preoccupare il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede. Con 150 detenuti e 200 operatori della Polizia penitenziari positivi, i numeri sono ancora sotto controllo, ma crescendo rapidamente potrebbero sfuggire di mano. Per questo Bonafede, durante l’ultima riunione del Consiglio dei ministri di due giorni fa, ha presentato il nuovo decreto-legge sulla sicurezza sanitaria nelle carceri. Questa volta, però, il ministro ha valutato diversamente rispetto a marzo i detenuti che potranno accedere alla detenzione domiciliare. E probabilmente lo ha fatto alla luce di quanto accaduto sette mesi fa, quando il Dap aveva inviato una circolare per richiedere alle case circondariali di stilare una lista dei detenuti più esposti al virus e il documento aveva poi dato il via al processo di scarcerazione di alcuni boss mafiosi, a dispetto delle proteste dei magistrati antimafia.

Chi può ottenere la detenzione domiciliare

Grazie al provvedimento di Bonafede, un totale di 5 mila persone potrà tornare nella propria casa. Circa 2 mila detenuti che attualmente si trovano già in semilibertà, a cui il magistrato di sorveglianza potrà concedere licenze con durata superiore a quindici giorni fino al 31 dicembre 2020, salvo che non vengano ravvisati gravi motivi. E lo stesso potranno fare almeno 3 mila detenuti che, al contrario, non avrebbero il permesso di lasciare la cella. Questi ultimi, per poter ottenere la detenzione domiciliare con l’applicazione del braccialetto elettronico, non devono avere un condannata superiore a 18 mesi. Ma non solo. Con un post sulla sua pagina Facebook, Bonafede ha voluto specificare quali detenuti non potranno in ogni caso lasciare la propria cella.

Esclusi i condannati per mafia

“Si preclude comunque – ha scritto il ministre della Giustizia – l’accesso alla detenzione domiciliare a chi è stato condannato per mafia, terrorismo, corruzione, voto di scambio politico-mafioso, violenza sessuale, maltrattamenti in famiglia e stalking nonché a chi ha subito una sanzione disciplinare (o ha un procedimento disciplinare pendente) per la partecipazione a tumulti o sommosse nelle carceri. Fa appunto  riferimento alle rivolte scoppiate in diverse carceri italiane durante lo scorso marzo, quando nel Paese iniziava a dilagare il coronavirus. Il tumulto all’interno dei penitenziari aveva poi portato alla scarcerazione di alcuni detenuti al 41-bis, ma stavolta non c’è questa possibilità stando alle parole di Speranza.

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Un decreto per incrementare lo smartworking

Oltre a questo, il decreto carceri contiene nuove indicazioni per incrementare lo smartworking dei lavoratori della Giustizia. Le indagini preliminare si potranno eseguire “con collegamenti da remoto, in modo da sentire la persona offesa, gli indagati, i consulenti del pm o la polizia giudiziaria anche in collegamento da remoto”. Le udienza penali si svolgeranno “mediante videoconferenze o collegamenti (con il consenso delle parti), ad eccezione delle udienze istruttorie e di quelle per la discussione finale”. Infine, gli avvocati penalisti avranno la possibilità “di depositare da remoto, con pieno valore legale, istanze, memorie e atti mediante il portale del processo penale telematico o tramite invio pec”.

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Alfonso Bonafede, ministro della Giustizia. Credit: Alfonso Bonafede Facebook
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