“InFame” di Ambra Angiolini: un viaggio di andata e ritorno nella bulimia

Nel suo primo romanzo Ambra parla di bulimia con la lucidità sofferta di cui è capace solo chi ha avuto a lungo questo demone dentro di sé.

InFame

“Se per te l’amore è quello che manca e non quello che resta; se sei capace di mangiare otto gelati Cucciolone così velocemente da non riuscire nemmeno a leggere le barzellette disegnate sopra il biscotto; se nella vita non sei un fuoriclasse ma un fuoricoda, se per staccare col mondo hai bisogno di ipnotizzarti davanti alla Prova del Cuoco; se conosci a memoria la canzone de Il gatto puzzolone; se tra tutto quello che hai nel tuo armadio scegli sempre lo stesso pantalone da almeno cinque anni; se sei un maniaco dell’igiene specialmente di quella del bagno. Se dentro di te c’è Lei; se trovi che Elettra sia un bel nome a cui dare la colpa di tutto, se ogni tanto hai la testa abitata da una scimmietta che suona piattini o da criceti che girano nella ruota e soprattutto… se anche la tua pancia pensa, piange, ama più della testa e del cuore, allora… questa è anche la tua storia…”

Una storia che purtroppo abbiamo sentito tante volte, una storia che di volti ne ha troppi: è la ragazzina al primo piano che va a scuola sempre a piedi, è la signora che incontriamo al supermercato sempre con il carrello pieno, è il commesso di quel negozietto minuscolo in centro. Una storia che prende un nome ben preciso: bulimia.
È di bulimia che Ambra Angiolini parla nel suo libro e lo fa senza filtri, perché non esistono mezze misure per chi questo mostro l’ha avuto a lungo dentro di sé.

Ambra Angiolini
Photo credits: Stefania M. D’Alessandro – Getty Images

“InFame” non è soltanto il primo tentativo narrativo di Ambra, è un volo diretto per il cuore dell’attrice. Lo si capisce già dalla copertina: gialla, con una bocca e un neo, tratti essenziali e inconfondibili dell’autrice. Le pagine del suo libro, scritte con parole chiare, dirette, inequivocabili, sono un vero e proprio viaggio esistenziale. L’andata attraversa i lunghi anni di difficile convivenza con il demone della bulimia e ne traccia nitidamente i tratti: la ricerca disperata di cibo, il suo consumo compulsivo, e infine “una bella vomitata”. Niente droghe, niente alcolici, ma spacciatori autorizzati e una dipendenza legalizzata.

“Non voglio niente ma ho fame di tutto una voragine che non riposa mai” scrive Ambra. La bulimia non fa altro che riempire un vuoto per lasciarne un altro. Il cibo è l’unico modo per sopperire a una mancanza e al tempo stesso un fardello pesante da rigettare alla prima occasione. Ma mancanza di cosa? Di tutto e di niente ci dice la protagonista, “anche del nulla ho fame, una voragine che non si sazia mai”. Il vuoto è vuoto puro, la mancanza è mancanza pura. E anche il terrore che questa consapevolezza suscita è puro. Ambra lo sa, lo descrive, lo affronta. Mette a nudo se stessa e il suo mostro, lo guardo dritto in faccia.

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Il viaggio della protagonista di “InFame” racconta, però, anche un ritorno. “Io non sono più lei. Lei è rimasta “inFame”, io oggi sono molto affamata di amore, di vita”, ha raccontato Ambra a Fabio Fazio a Che Tempo che fa. Il ritorno è un ritorno all’origine di se stessi. A liberarla da questo infinito circolo vizioso sono stati i figli, per l’attrice sono stati loro la vera salvezza. A pensarci sembra quasi uno scherzo del destino: quello stesso ventre che ha partorito il mostro infame, ha anche generato la cura al male. E non una qualsiasi, ma proprio quella cura senza tempo a cui spesso stentiamo a credere: l’amore.

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