Coronavirus, in Francia è il terzo lockdown: ma le scuole restano aperte

La Francia vive ormai il terzo lockdown dall’inizio della pandemia ma, a differenza dell’Italia, le scuole restano aperte.

Dalla mezzanotte di venerdì per quattro settimane: la Francia vive il terzo lockdown dall’inizio dell’epidemia. Ad annunciarlo è stato il primo ministro Jean Castex – insieme al ministro della Salute, Olivier Véran – in conferenza stampa di ieri alle 18.00. Una nuova stretta per cercare di contenere l’avanzata dell’epidemia nell’Ile-de-France, la regione di Parigi, dove il tasso di incidenza dei contagi da Covid-19 ha superato quota 400 su 100.000 abitanti. Sedici dipartimenti della Francia saranno quindi oggetto di nuove restrizioni contro il Coronavirus da sabato e per le prossime quattro settimane: 8 dipartimenti dell’Ile-de-France; la regione di Parigi;5 dipartimenti degli Hauts-de-France; del nord del Paese; les Alpoes-Maritimes; la Seine-Maritime e l’Eure.

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Si tratterà, in ogni caso, di un lockdown leggero, come quello di novembre. Il coprifuoco passa dalle ore 18 alle ore 19 nelle zone della Francia che non sono oggetto del nuovo lockdown. Nei 16 dipartimenti oggetto della nuova stretta resteranno aperti solo i negozi di prima necessità ma ci sarà la possibilità di uscire per una durata limitata in un raggio di 10 chilometri. Verrà inoltre decretato il divieto di spostamenti interregionali. Ma le scuole, lockdown o meno, restano aperte.

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Questione di priorità

A differenza dell’Italia, Francia e Germania hanno cercato quasi sempre di lasciare aperti gli istituti scolastici, ricorrendo solo in extremis alla chiusura delle scuole. Ciò che in Italia sembra essere stato messo da parte, forse per la difficoltà di gestire la riapertura in sicurezza, per la Francia è stato invece una priorità. Proprio il passaggio in rosso da lunedì 15 marzo di oltre la metà delle Regioni italiane ha avuto un nuovo effetto immediato sulla scuola. Oltre 7 milioni di studenti sono nuovamente rimasti a casa. Già da lunedì 8 marzo circa 5,7 milioni di studenti erano in Dad sia nelle tre Regioni rosse – Campania, Basilicata e Molise – sia in Lombardia, in gran parte dell’Emilia-Romagna, in Piemonte, nelle medie e superiori del Friuli Venezia Giulia, delle Marche. Possono andare in classe solo gli alunni disabili o con bisogni educativi speciali.

Insomma, dallo scoppio della pandemia la scuola è sempre rimasta indietro tra le priorità del governo, nonostante gli sforzi iniziali di Lucia Azzolina che aveva provato a riportare gli studenti in presenza. Contro di lei, l’avanzare della pandemia e le misure restrittive che, di volta in volta, hanno bloccato il ritorno tra i banchi degli studenti. Ha pesato anche l’assenza di una strategia univoca ed efficace proprio sulla scuola, che ha creato panico e confusione tra gli studenti costretti ogni volta ad entrare e poi ad abbandonare le aule. Gli studenti italiani hanno vissuto l’ultimo anno tra link, lezioni online, modalità online e a distanza che, se hanno per certi versi salvato il salvabile, per altri hanno cambiato totalmente la routine e la vita degli studenti.

Dad, unica strada?

La Dad si è rivelata di fatto l’unica modalità possibile per proseguire le attività didattiche senza interromperle del tutto; ma è stato dato meno di quanto è stato tolto. Scuola significa socialità, confronto, apprendimento, stimolo, dinamicità. Una serie di fattori che, dietro lo schermo di un pc, sono pian piano svaniti e la lezione in aula, momento di incontro tra studente e alunno, si è di fatto denaturata trasformandosi in un momento passivo, statico, fermo. Il malcontento degli studenti ha preso piede in numerose proteste che si sono susseguite in questi mesi in tutta Italia, così come è stato forte il malcontento dei professori, chiamati ad un ruolo ben diverso da quello originario.

Ed avanza anche il malcontento degli studenti universitari, dei fuori sede, quelli che sembrano essere stati dimenticati dal sistema, quelli che sembrano non esistere agli occhi di chi, stabilendo cosa sia giusto e fare cosa no, prendendo in mano le redini di una situazione complicata e difficile da gestire, ha deciso di guardare a problemi apparentemente più gravi, trascurando quelli minori. E se è vero che il crollo del sistema sanitario era in primis una situazione da arginare, e se è anche vero che il collasso del sistema economico lo era ugualmente, è anche altrettanto vero che il sistema scolastico nel suo insieme abbia pagato il prezzo di scelte sbagliate. E aveva ragione Lucia Azzolina: “Senza scuola, non c’è crescita”. 

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