Col discorso di ieri alla nazione russa Putin ha impresso al conflitto in Ucraina un deciso salto di qualità.
Non più “operazione militare speciale” ma “guerra aperta e conclamata”. Con tutte le conseguenze (e i rischi) del caso.
C’è una differenza tra il primo discorso di Putin alla nazione – quello di inizio invasione in Ucraina, il 24 febbraio – e quello di ieri? Sì, spiega all’AGI Aleksandr Baunov, analista del Carnegie Center di Mosca. Una differenza sintetizzabile in questa formula: il primo “è stato un discorso lungo prima di una guerra corta, il secondo è stato l’inverso: un intervento corto, prima di una guerra lunga”.
Il discorso di quasi sette mesi fa annunciava una “operazione speciale”. Che nei piani di Putin avrebbe dovuto avere breve durata, “denazificando” l’Ucraina e difendendo i russi del Donbass. Quello di ieri, che annuncia la “mobilitazione parziale” e minaccia l’uso dell’atomica contro l’Occidente voglioso di aggredire la Russia, rappresenta un cedimento al “partito della guerra”.
Altra differenza tra i due discorsi: il primo “era stato molto lungo, pieno di riferimenti storici e di ideologia”. Si trattava del discorso di qualcuno che si mostrava molto sicuro di sé, pronto a conquistare un risultato veloce. L’intervento di ieri, prosegue Baunov, invece è stato “molto breve, di carattere puramente pratico, privo di riferimenti storici o ideologici, assolutamente non corrispondente, sul piano delle emozioni, alla necessità di chiamare il popolo a combattere”.
Fatto sta che con la mobilitazione (ancorché parziale) annunciata dal Cremlino il conflitto in Ucraina fa un salto di qualità: da “operazione speciale” a “guerra”. Per Baunov “Putin non voleva arrivare a tanto”. Ma, probabilmente suo malgrado, ha dovuto cedere alle pressioni del partito della guerra, ovverosia “quella fazione nell’establishment che da tempo chiede un impiego di risorse massiccio e che si scontrava con il partito dell’operazione speciale, fatto da coloro che volevano un intervento veloce, condotto da professionisti e senza sconvolgere la vita e l’economia del Paese”.
A inclinare Putin dalla parte del “partito dell’operazione speciale”, ricorda l’analista, è la sua formazione di agente speciale. La sua stessa carriera politica, a cominciare dall’ascesa al Cremlino tra il 1999 e il 2000, assomiglia molto infatti una operazione speciale: operazioni limitate nel tempo e portate avanti chirurgicamente da “professionisti”. Anche la tempistica dell’intervento in Ucraina avrebbe dovuto avere tempi limitati, calcolati probabilmente attorno ai semi mesi.
Il modello dell’”operazione speciale”, sottolinea Baunov, però è entrato in crisi. Da un lato per le pressioni cinesi per porre fine al conflitto, dall’altro per il successo della controffensiva ucraina a Kharkiv. Un altro problema evidenziato dall’analista moscovita è la carenza di uomini. Come col Covid, Putin ha delegato al ministero della Difesa, ai governatori e ai contractor la ricerca di volontari da arruolare per il fronte. Ma la tattica non ha funzionato a dovere.
Comunque sia, da ieri “Putin non è più il capo dell’operazione militare speciale, ma il primo soldato sul campo e si tratta di un grande cambiamento”, spiega ’analista. Che invita a sottovalutare la minaccia nucleare agitata dal capo del Cremlino.
“Il principale obiettivo della mobilitazione è dimostrare che la Russia non bluffa, che le sue intenzioni rimangono serie”, avverte Baunov. “Quando Putin parla di arma nucleare bisogna capire che non sono solo parole, purtroppo: il suo sistema di coordinate prevede che se inizi a minacciare o ti ascoltano o devi attuare quella minaccia, si tratta di un’escalation pericolosa, perché su questo piano non ci sono limiti. Ora bisogna presto capire come uscirne”, conclude l’esperto del Carnegie Center.
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