Sparatoria a Roma, la vicenda del figlio di Claudio Campiti - MeteoWeek
L’uomo responsabile della strage di Fidene a Roma aveva perduto il figlio in un incidente in montagna una decina di anni fa. Un dolore straziante che era stato accompagnato da una vicenda giudiziaria e da uno strano blog.
Si scava nel passato e nella tragica vita di Claudio Campiti, l’uomo che ieri ha aperto il fuoco su una riunione di condominio a Fidene, quartiere della Capitale, causando tre vittime. Campiti aveva perso il figlio 14enne Romano alcuni anni fa, nel marzo del 2012, quando si era schiantato con lo slittino su un albero a Croda Rossa, vicino Bolzano, mentre erano in vacanza con il resto della famiglia.
Forse anche questo tragico elemento ha causato disturbi nella psiche di Campiti, il quale aveva avviato una lunga battaglia legale per trovare i responsabili della perdita del ragazzo. La Corte di Cassazione arrivò alla condanna per omicidio colposo a un anno e tre mesi di reclusione il maestro di sci Alessio Talamini e il responsabile della sicurezza della Dolomiti Sextner Rudolf Egarter e il direttore del centro sciistico di Sesto-Croda Mark Winkler di cui un anno dopo, nel 2019, fu respinto il ricorso. Fu previsto anche un risarcimento di 240 mila euro, di cui 150 mila per la madre Rossella, 50 mila per le due sorelle e il restante per il padre.
“Il maestro ha deciso di fare scendere i miei ragazzi con la slitta sulla Croda Rossa, che è conosciuta localmente anche come ‘pista della morte’ — aveva dichiarato Rossella Ardito, madre del giovane -. Sia Sveva che Romano hanno confessato al maestro di non avere mai praticato questo sport e che, dopo la prima discesa, volevano evitare di ripetere il percorso, proprio perché si erano accorti della difficoltà”. Se per i due fratelli non ci sono problemi, la caduta risulta fatale per Romano Campiti che si schianta contro un albero a lato della pista e perde la vita.
Claudio Campiti aveva aperto un blog per raccontare il processo e il suo dolore, una sorta di sfogo per la sofferenza della perdita del figlio: articoli di giornale, lettere che lui stesso ha inviato a politici e associazioni per cercare supporto e resoconti dell’iter del processo. “Io sono Romano Campiti un bambino morto ammazzato all’età di 14 anni” è uno dei post scritti da Claudio, immedesimandosi nel figlio deceduto. “Sono nato a Bari il 2.3.1997 e sono andato via da mio papà il 1.3.2012 sulle Dolomiti un giorno prima di compiere il mio quindicesimo compleanno. Sono morto sulla ‘pista’ di slittino, se una strada di montagna si può chiamare pista, finendo contro un albero a bordo pista, per questo devo ringraziare il gestore della pista che nulla ha fatto per mettere in sicurezza il tratto dove io sono morto. Io sapevo sciare ma non ero mai stato su uno slittino. Il mio maestro di sci Alessio Talamini ha deciso di portarmi lì e lì mi ha lasciato solo ad andare a morire. Mio papà vuole che vi racconti la mia storia e quello che lui sta facendo per evitare che altri papà debbano soffrire quanto tocca a lui ora e fino alla fine dei suoi giorni toccherà soffrire”.
Un altro post racconta uno dei passaggi in tribunale: “All’udienza tenuta oggi in tribunale fanno riflettere con tristezza le parole riportate dal maestro che afferma che le sue clienti hanno dato della pazza alla madre di Romano” scrive in prima persona Claudio. “Questo rispecchia bene ancora una volta la mentalità che ho trovato anche in Provincia che dà la colpa di mio figlio al caso“. E poi: “L’ennesima udienza l’ennesimo pm, mi chiedo a cosa serva questa figura se praticamente ad ogni udienza cambia. Forse sarebbe meglio levargli il disturbo di partecipare“.
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