Dall’assenza di sintomi, ad una brutta influenza ad una grave infezione: ecco tutte le modalità in cui si presenta il Covid-19.
Quale sia il decorso dell’infezione da Sars-Cov-2 lo ha tracciato il Corriere della Sera insieme a Sergio Harari, primario di pneumologia e medicina all’ospedale San Giuseppe Multimedica di Milano e professore di Clinica Medica all’università di Milano. Da specificare che nella maggioranza dei casi, l’80%, l’infezione è asintomatica o con sintomi variabili che non richiedono il ricovero. Nel 20% dei casi si manifesta in forma più grave con necessità di ricorrere all’ospedale e solo per il 2%, percentuale che varia a seconda dei Paesi e dei dati raccolti, risulta fatale.
Nel caso non sia asintomatica, la malattia si manifesta come una «brutta influenza». Febbre molto alta, brividi, a volte mal di gola, tracheite, dolori sparsi, mal di testa, stanchezza profonda, non di rado congestione nasale e congiuntivite.
Riscontrata recentemente anche perdita di gusto e olfatto, anche come unico sintomo. Inoltre possono sopraggiungere sintomi gastrointestinali, data l’azione diffusa del virus nell’organismo. Nel caso in cui la situazione si evolva favorevolmente, di solito l’infezione si risolve in 5-7 giorni, a volte con un ritorno febbrile dopo 1-2 giorni, con stanchezza prolungata e difficile da metabolizzare. Il trattamento usato è quello degli antipiretici, come il paracetamolo, che ha la duplice azione di abbassare la febbre e di antidolorifico.
Importante bere in abbondanza, così da idratare le mucose e favorire l’abbassamento della febbre. Inoltre, in caso di disturbi intestinali, ricorrere ai classici farmaci prescritti in caso di diarrea.
Anche se non si fosse fatto il tampone, in caso di questi sintomi occorre limitare il più possibile i contatti con le altre persone, anche i familiari: separare i bagni, per evitare la trasmissione per via fecale, usare mascherina e guanti e disinfettare accuratamente le superfici. Non è ancora conosciuto il termine entro il quale il malato si negativizzi. Bisognerebbe verificarlo con un tampone ma non è sempre possibile e non si sa se e per quanto tempo si possa sviluppare l’immunità.
Più allarmante è quando inizia a mancare il fiato, che diventa più corto e frequente. Se si ha un saturimetro in casa e si nota che la saturazione dell’ossigeno è scesa di 4-5 punti rispetto allo standard e a parità di temperatura corporea, occorre recarsi in ospedale e fare una lastra al torace. Se c’è interessamento polmonare, occorre procedere col ricovero, dato che il peggioramento può essere repentino, anche nel giro di poche ore, per cui può essere necessaria l’assistenza respiratoria.
Per quanto concerne le terapie respiratorie, gli antivirali usati attualmente sono il Remdesivir in sperimentazione, e la combinazione di Lopinavir/Topinavir che però, stando allo studio pubblicato sul New England Journal of Medicine, non sortirebbe effetti significativi. In uso anche farmaci antimalarici e antireumatici come il Tocilizumab, per ridurre la grave condizione infiammatoria.
Dopo la dimissione è necessario continuare a monitorare il paziente passati 14 giorni con due tamponi ravvicinati in successione e solo a quel punto è possibile dire che quella persona non sia più infettiva. In quel frangente dovrebbe continuare a seguire le regole di separazione o almeno di protezione con i familiari.
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