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Va in prigione per reati commessi 21 anni fa: “Ma ora è una persona onesta”

Un 47enne di Napoli costretto ad andare in carcere per una condanna risalente alla fine degli anni novanta.

Condannato per associazione mafiosa e spaccio di droga, ora deve scontare 11 anni, 11 mesi e 16 giorni di reclusione: e sabato scorso Giuseppe, 47enne napoletano, si è recato in carcere per scontare la sua pena. Ma i reati per cui l’uomo è stato condannato risalgono a venti anni fa. Dal 1999 Giuseppe ha cambiato vita, svolge un lavoro onesto, si è sposato ed ha messo al mondo tre figli.  Insomma, per lui si sono aperte le porte del carcere di  Poggioreale nonostante negli ultimi due decenni l’uomo abbia completamente cambiato vita.

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Nel 1999 Giuseppe faceva parte di un gruppo malavitoso che operava nei Quartieri spagnoli di Napoli, nella zona di Sant’Anna a Palazzo: una organizzazione criminale i cui componenti sono tutti morti in maniera violenta. Tutti tranne lui, che è invece stato in grado di cambiare completamente strada guadagnandosi un lavoro onesto e costruendosi una famiglia. Giuseppe, noto come Pippo, abbandonò ben presto la via del crimine, della violenza e dello spaccio per dedicarsi a una vita senza ombre, all’interno della legalità.

Lo stato però non ha scordato il suo passato, ed è venuto a chiedere il conto: 21 anni dopo  è arrivato un ordine di carcerazione. Un lasso di tempo veramente ampio, che assomiglia più ad una sorta di accanimento burocratico piuttosto che ad una pena utile a reinserire nella collettività un criminale: Giuseppe ci ha già pensato da solo, a reinserirsi. Il suo avvocato, Sergio Pisani, non usa mezzi termini nel commentare la decisione:

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“Rappresenta il fallimento totale dell’attuale sistema giustizia. Che senso ha, dopo 21 anni da un reato, far scontare 11 anni di reclusione a un soggetto che si è totalmente riabilitato lavorando onestamente e mettendo su famiglia? Chiederemo la grazia al presidente della Repubblica – ha aggiunto l’avvocato – perché la funzione rieducativa della pena non si trasformi in una mera funzione punitiva, annullando di fatto un percorso di vita che ora viene incredibilmente stroncato”.

Alessio Ramaccioni

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