In un’intervista alla Repubblica, la figlia di Adriano Trevisan racconta il padre, che purtroppo è stata la prima vittima italiana del coronavirus.
Vanessa Trevisan è una di 45 anni che vive nella provincia di ‘Vo. Ha ricoperto la carica di sindaco del paese fino allo scorso anno. Era anche la figlia di Adriano Trevisan, il primo morto italiano a causa del coronavirus. In questo momento si ritrova chiusa in casa. Anche lei è risultata positiva al coronavirus e deve scontare 14 giorni di quarantena dentro la sua abitazione. Al giornale La Repubblica ha deciso di concedere una lunga intervista per parlare del padre.
Lo racconta come un uomo allegro, che nonostante i 78 anni, era perfettamente autosufficiente. Non amava molto viaggiare al punto che, come racconta la figlia, quando gli fu chiesto in ospedale se aveva mai effettuato viaggi all’estero, Vanessa racconta che: “mia madre ha risposto che neanche le aveva fatto fare il viaggio di nozze. Non andava in gita, non andava in chiesa o alle bocce, gli piaceva pescare, ecco: quello era il suo vero hobby. Parlava sempre di politica, la sua benedetta politica…”.
Un aspetto che sembra aver particolarmente disturbato Vanessa Trevisan, riguarda il fatto che da quando è risultato positivo al virus, suo padre è stato trattato dalle persone come un numero. Più precisamente, come il decesso numero uno.
È rimasta infatti particolarmente irritata da certi commenti come ad esempio “però era vecchio”. Sempre alla Repubblica, la figlia di Trevisan racconta che: “È morto venerdì e solo adesso che devo sbrigare le pratiche burocratiche, chiamare la banca, telefonare al notaio, comincio a realizzare.Stamani mi hanno chiesto di inviare il suo documento d’identità, sono andata a frugare nel suo portafogli e ho capito che mio papà non c’è più”.
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Vanessa trevisan ha poi anche precisato che nonostante la morte sia stata causata dal coronavirus, il padre era comunque “cardiopatico e debilitato”. Svela anche che il suo rimpianto è stato il rifiuto del medico di base di recarsi a visitarlo. Questi infatti, sosteneva che si trattava di una banale influenza. Nel frattempo, la Procura di Padova ha acquisito tutte le cartelle cliniche, per comprendere se si siano verificati dei ritardi nella diagnosi.
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