L’assessore regionale alla sanità della Lombardia denuncia una delle vicende più grottesche di questa emergenza.
La Lombardia riceve le tanto attese mascherine da destinare a interi ospedali che ne sono sprovvisti. Ma quando gli addetti aprono gli scatoloni rimangono senza parole. Non si possono nemmeno definire mascherine: sono dei banali fazzolettini di carta, legati da un semplice elastico. Una beffa, sembra uno scherzo di cattivo gusto. E qualcuno le manda in Regione.
“Avevano richiesto dei presidi medico sanitari per la salvaguardia delle persone impegnate nei reparti e nelle ambulanze, ormai tutti sanno come sono fatte queste mascherine, sono più ampie e hanno un filtro – dice l’assessore lombardo alla sanità Gallera – ma queste non erano quanto serviva. Gli addetti si sono rifiutati di metterle”. La prima denuncia è arrivata dall’ospedale di Rho e poi dall’azienda sanitaria del San Paolo. “Le abbiamo ritirate perché non vanno in alcun modo bene per infermieri e medici – ha aggiunto Gallera – ma non le bitteremo perché possono essere usate dai volontari che portano la spesa a casa agli anziani in isolamento”.
“Le mascherine professionali sono quelle chirurgiche, catalogate come FPP2 o FPP 3, ma quello che ci hanno dato era poco più di un foglio di carta igienica”. Non si tratta di mascherine prodotte in Italia, e forse nemmeno in Europa visto che non recano marchio CEE a norma di legge: “In questo momento fare polemica è del tutto inutile – conclude Gallera – ma è evidente che non è possibile immaginare di utilizzare queste mascherine da parte di sanitari che lavorano ore e ore… questo non è consentito e accettabile per una persona che sta a con pazienti infetti per molte ora al giorno”.
Quello delle mascherine è un problema serio. In Italia le aziende che le producono sono pochissime: e quelle poche non le producono per il mercato italiano che da tempo ha tagliato le spese su questo genere di protezioni che ora sarebbero indispensabili. È di stamattina la notizia di due carichi di mascherine in transito dall’Italia verso la Svizzera che erano state fermate e sequestrate alla dogana di Como. Contrariamente al decreto che stabilisce che tutti i presidi questo tipo, attualmente in Italia, debbano essere usati qui, stavano per essere venduti al miglior offerente all’estero.
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