Un uomo di grande esperienza e di immensa cultura che ha subito avvertito la Casa Bianca circa la pericolosità del virus: ma nei suoi discorsi pubblici Trump ha tenuto presente i consigli di Fauci solo fino a un certo punto.
Si chiama Anthony Fauci e come molti suoi colleghi biologi e virologi di lunga e comprovata esperienza, è diventato suo malgrado un personaggio. Il suo parere è molto considerato ed è stato ospitato in tutti i salotti televisivi e giornalistici americani più importanti. Ha ottant’anni e ha trascorso più di tre quarti della sua vita lavorando, quasi esclusivamente in laboratorio. Nell’ambiente è famoso perché non ama i congressi che, alcuni anni fa (lui la definiva “inquietudine giovanile”), preferiva disertare perché lo tenevano lontano dalle sue amate provette.
Oggi Anthony Fauci, oltre a essere un interlocutore privilegiato dei grandi network, è uno dei superconsulenti della Casa Bianca. Ma era stato così anche prima dell’avvento di Trump: con Bush senior, Bush Junior e anche Obama. Pare che il suo sia stato il primo parere che Donald Trump ha preteso di sentire. E pare sempre che grazie al suo intervento il presidente americano abbia completamente cambiato atteggiamento sul coronavirus che inizialmente aveva bollato come una banale influenza d’importazione.
Fauci non è sempre d’accordo con Trump, e non lo nasconde quasi mai. Se il suo parere all’ufficio della Casa Bianca predica cautela, il presidente – da uomo politico e di grandi dichiarazioni – opta per grandi frasi a effetto. Fauci è un tecnico, uno che non si scosta mai da un block notes nel quale annota dati e tabelle e sul quale disegna curve. È stato il primo a dire che il coronavirus a New York avrebbe fatto più vittime della seconda guerra mondiale e a sostenere che se il virus fosse arrivato nelle grandi città del centro sarebbe stata un’ecatombe.
Più Anthony Fauci viene interpellato dalla stampa più la sua posizione nei confronti di Trump si fa critica: anche perché ogni giorno il presidente americano garantisce che il virus verrà debellato senza difficoltà. Tant’è che qualche giorno fa, ospite di una tavola rotonda della rivista Science, Fauci è sbottato: “Che ci posso fare, è il presidente, non posso mica togliergli il microfono ogni volta che dice cose che non condivido”.
I detrattori di Trump hanno colto la palla al balzo e hanno registrato un meme nel quale Fauci se la ride durante un discorso del presidente e la cosa ha assunto una piega piuttosto pesante perché on line il contenuto è diventato virale e Fauci, considerato il nemico pubblico numero uno di Trump è finito anche sotto scorta, minacciato da commenti che chiedevano la sua testa. In senso non solo figurato.
Fauci è una vera istituzione: nato nel 1940 a Brooklyn, da una coppia di italoamericani di origini napoletane e siciliane ha iniziato a lavorare nella bottega dei genitori che erano farmacisti. Ha studiato in una scuola borghese dell’Upper East Side e conseguito due lauree completamente diverse l’una dall’altra. È stato anche un ottimo sportivo: baseball e basket. Dal 1969 lavora per il National Institute of Health, quello che sarebbe il nostro Istituto superiore di sanità. Ha lavorato gomito a gomito con tutti i più grandi virologi del mondo: nel suo campo è considerato una leggenda. Ha studiato per vent’anni l’AIDS, e poi Ebola e Mers. Nel 2008 ha ricevuto la Medal of Freedom, la più alta onorificenza americana per un civile. Oggi qualcuno lo vuole morto: perché è considerato la voce di una eccessiva coscienza di fronte a un paese che ancora rifiuta di avere in casa una pandemia.
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