Visitato cinque volte e rimandato a casa: aveva un tumore

La figlia di un pensionato di 77 anni racconta al “Gazzettino” l’odissea vissuta dal padre. Solo alla sesta visita i medici si sono accorti della malattia, ormai impossibile da curare. Nelle precedenti cinque visite nulla era saltato fuori ed era stato rimandato a casa

foto di repertorio

Sei accessi al pronto soccorso, sempre con forti dolori al petto e alle gambe. Nelle prime cinque occasioni rimandato a casa e solo dopo l’ultima visita la diagnosi: tumore. Marcello Gregolin, un pensionato di 77 anni d Pordenone, è morto il 13 luglio scorso al culmine di questa odissea sanitaria. Una storia incredibile, raccontata al “Gazzettino” dalla figlia dell’uomo, Ilenia, decisa a fare chiarezza e a stabilire se si tratti di un caso di malasanità cui aggrapparsi per fare giustizia.

La prima visita dell’uomo al Pronto soccorso della città friulana – racconta – è del 14 aprile. Gregolin accusa un forte dolore al petto. “Gli fanno un elettrocardiogramma, esami del sangue e lo rimandano a casa dicendo che è tutto ok”, commenta amara Ilaria al “Gazzettino”. Le condizioni dell’uomo col passare dei giorni si aggravano a quella visita al pronto soccorso ne seguono altre quattro, sempre con lo stesso percorso e lo stesso esito: dimissioni e ritorno a casa.

L’ultima visita decisiva, ma è ormai troppo tardi

È la fine di maggio quando ormai il pensionato non muove più le gambe e i dolori sono diventati insopportabili. Torna in ospedale chiedendo di essere curato vista la situazione preoccupante. Finalmente all’inizio di giugno Gregolin viene sottoposto a una tac che rivela la diagnosi fatale: le metastasi sono estese a tutto il corpo ed è necessario il ricovero all’unità spinale dell’ospedale di Udine.

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Le tappe successive sono ormai storia recente. Il 9 giugno Gregolin viene operato e inizia un ciclo di radioterapia. Il tumore, però, è ormai in stato avanzato: troppo tardi per sperare ancora.  Il 13 luglio l’uomo di 77 anni muore nella sua casa di Pordenone, lasciando tanti interrogativi alla figlia e ai familiari. Proprio lei, nel suo racconto, si chiede: “Ogni giorno penso: poteva essere salvato? Poteva vivere di più e non arrendersi solo alla sesta visita in cui gli viene riscontrato un tumore?”

Leandro Lombardi

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