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Politica

Si torna ai Dpcm: ma terapie intensive, nuovi medici, posti letto che fine hanno fatto?

Siamo di nuovo in emergenza, salgono i contagi, e qualche ospedale è già in affanno. E si torna ai decreti emergenziali: ma mancano all’appello posti letto e nuovi medici ed infermieri. Perchè?

“L’ho scritto da sano e lo ripeto da malato: le cose non stanno andando come avrebbero dovuto. Ripetiamo gli errori già fatti. Lo ha scritto il giornalista Massimo Giannini, direttore del quotidiano La Stampa, dal letto di terapia intensiva dove si trova perchè malato di Covid.  “Quando sono entrato in questa terapia intensiva, cinque giorni fa, eravamo 16, per lo più ultrasessantenni. Oggi siamo 54, in prevalenza 50/55enni. A parte me, e un’ altra decina di più fortunati, sono tutti in condizioni assai gravi: sedati, intubati, pronati. Bisognerebbe vedere, per capire cosa significa tutto questo” racconta nel suo editoriale, confemrando che la situazione sta volgendo al peggio. E dice un’altra cosa, Giannini. Anzi, pone una domanda: “Dopo il disastro di marzo-aprile dovevamo fare 3.443 nuovi posti letto di terapia intensiva e 4.200 di sub-intensiva, ma ne abbiamo fatti solo 1.300: di chi è la colpa? Mancano all’ appello 1.600 ventilatori polmonari, dice il ministro Boccia: di chi è la colpa? Dovevamo assumere 81mila tra medici infermieri e operatori sanitari, ma al 9 ottobre ne risultano 33.857, tutti contratti a termine: di chi è la colpa?”. Ed è questo il ragionamento da cui partire per esprimere una analisi strutturata di quello che sta avvenendo: la “nostra” emergenza-coronavirus non nasce adesso. Abbiamo una storia alle spalle: fatta di morti, di bare trasportate con i mezzi militari, di un lockdown clamoroso ed inedito per la storia repubblicana, che ci ha tenuto dentro casa per due mesi. Una storia di ospedali al collasso, di medici ed infermieri “eroi”, di mascherine introvabili, di tamponi talmente rari da non riuscire a restituire la proporzione dei numeri di questi contagio, che è piombato sulla nostra fragilissima sanità pubblica come un meteorite tra febbraio e marzo.

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Una storia che, come capita spesso all’Italia, non ha insegnato nulla: soltanto che, nel caso del Covid, l’evidenza ce l’abbiamo immediata. Non è come le altre grandi storie di disfunzione cronica dell’apparato statale, che magari te ne accorgi dopo anni, come ad esempio avviene nel caso dei terremoti, delle alluvioni. Vicende intervallate da qualche anno, utile a far scordare le responsabilità e gli impegni presi. Qui è tutto più rapido, più vicino: da marzo ad oggi è un battito d’ali di farfalla, ricordiamo tutto. E visto che ricordiamo, poniamo anche delle domande: d’altronde è il nostro mestiere. Ed in questo, simbolicamente, ci uniamo a Massimo Giannini: che fine hanno fatto i posti in più nelle terapie intensive che mancano, e che erano stati assicurati? Non si era detto che “le terapie intensive sotto pressione sono l’indicatore del collasso del sistema sanitario”? Stesso discorso per i posti letto nelle sub-intensive, anche quelle “da potenziare per evitare di ingolfare le terapie intensive lasciandole ai casi più gravi”. Ma la cosa più grave è la mancata assunzione di medici ed infermieri: meno di 34mila – assunti come precari – su 81mila annunciati. Perchè ci ricordiamo bene anche la polemica sulla terapia intensivarealizzata alla Fiera di Milano, che doveva ospitare oltre 400 malati e ne finì per accolgiere pochi più di 20, anche perchè mancava personale. Se si fosse fatto quello che si era annunciato si sarebbe colto un doppio risultato: prevenire la nuova tempesta in arrivo (che tutti sapevano sarebbe arrivata) e dare fiato ad una sanità pubblica italiana tagliata e ridimensionata per anni che, ovviamente, ha faticato al momento dell’emergenza inattesa. Invece niente, o quasi: e se una qualche responsabilità va attribuita al governo – ma non solo, perchè anche le regioni hanno una responsabilità in questa situazione, a partire dal penoso rimpallo di responsabilità – è questa. Aver perso tempo sulla cosa più importante da fare: rafforzare la sanità. Ospedali, medicina territoriale, medici di base, presidi ambulatoriali per fare più tamponi possibile (senza magari metterci dieci ore, ndr): ed invece ci ritroviamo di nuovo ad immaginare chiusure e zone rosse. Vedremo se il Dpcm che il govenro ha emanato sarà sufficiente ad “abbassare la curva”. Per quel che conosciamo del virus e di questo contagio, temiamo di no: la strada segnata è quella indicata da Crisanti, e non ci stupirebbe che di qui ad un mese fosse necessario ricorrere ad un nuovo lockdown. Ma non sarebbe stato meglio fare quello che si era detto, e fornire strumenti e sostegno reale a medici ed infermieri, gli unici in grado di opporsi davvero al virus?

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