Tribunale del riesame: trattamento degradante non è tortura | agente scarcerato

Malmenare un detenuto e rinchiuderlo in una cella di sicurezza al buio non è tortura, rimesso in libertà un agente penitenziario dal Tribunale del riesame di Torino, che ha annullato l’ordinanza del GIP.

degradante non è tortura

Chiudere un detenuto in uno stanzino dopo averlo costretto a stare in piedi faccia al muro per una quarantina di minuti, e quindi percuoterlo con calci e pugni, è sicuramente un trattamento “degradante”, ma da solo non basta per essere considerato “tortura”. E’ una delle ragioni per le quali il tribunale del riesame di Torino ha annullato gli arresti domiciliari per uno degli agenti di polizia penitenziaria del carcere delle Vallette indagato con alcuni colleghi per episodi di violenza sui reclusi.
I giudici hanno effettuato una panoramica sulla giurisprudenza in materia di “tortura” che nel corso degli ultimi decenni è stata composta a Strasburgo dalla Corte europea per i Diritti dell’Uomo, arrivando alla conclusione che esiste una differenza fra trattamento “degradante” e trattamento “disumano”. L’agente, assistito dall’avvocato Antonio Genovese, è stato indagato solo per un episodio.

CARCERI

Cosa prevede la giurisprudenza della Corte di Strasburgo in merito ai trattamenti disumani e degradanti

La Corte prende in considerazione i principi fondamentali enunciati sia dall’articolo 3 della Convenzione Europea, sia dai principi minimali identificati dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT), che in data 2015 ha dichiarato la sua posizione in merito.
Da quanto emerge, la possibilità di rintracciare un concreto trattamento punibile secondo l’articolo 3 trova riscontro in un complesso di valutazioni che lasciano un grande margine decisionale al giudice, in quanto dovrà vagliare tutti i requisiti possibili per provare che le sofferenze patite dal reo hanno raggiunto la soglia “dell’inumano e degradante”. Esse saranno date da una somma di fattori positivi, come il trascorrere una parte considerevole della giornata fuori dalle celle (laboratori, corsi o altre attività) e fattori negativi di conferma del precario stato della qualità della vita. (Numero di letti insufficienti, insalubrità o infestazioni parassitarie).

In definitiva «La Corte ha sottolineato in più occasioni che ai sensi dell’articolo 3 non può determinare una volta per tutte un numero specifico di metri quadri da attribuire a un detenuto per rispettare la Convenzione. Ritiene infatti che molti altri fattori, come la durata della privazione della libertà, le possibilità di esercizio all’aperto o lo stato di salute fisica e mentale del detenuto, abbiano un ruolo importante nel valutare le condizioni di detenzione rispetto alle garanzie dell’articolo 3».

una stanza di detenzione – foto repertorio
Impostazioni privacy