Piazza Fontana, cinquant’anni di silenzi, depistaggi, segreti di Stato

Nel cinquantesimo anniversario della strage di Piazza Fontana, a Milano, nessuno ha pagato per i morti ed il terrore, solo silenzio, depistaggi e sentenze ribaltate.

E’ il 12 Dicembre 1969, venerdi, sono ore 16:30, una bomba, esplode all’interno della Banca Nazionale dell’ Agrigoltura, in Piazza Fontana, a Milano. La banca, a quell’ora è piena di clienti in fase di contrattazioni, è una strage. I morti saranno diciassette, i feriti ottantotto. Un episodio, che segna per sempre la storia recente del nostro paese. Da quel momento, da quel giorno, nasce il concetto di strategia della tensione. Una strage di Stato, su cui, nel corso dei decenni emergerà il coinvolgimento di apparati statali deviati. Le indagini e i processi, proseguiranno per anni, in un susseguirsi di depistaggi, sentenze ribaltate, sospetti, condanne annullate. Oggi, ancora oggi, la strage non ha colpevoli, ma esiste una responsabilità definita, quella dei fascisti di Ordine Nuovo.

Il quindici dicembre, il giorno dei funerali delle vittime della strage, in Piazza Duomo una folla silenziosa si raduna, cittadini, lavoratori, onorano le vittime.

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Poche ore dopo la strage gli investigatori hanno già una pista: è quella dei gruppi anarchici milanesi. Molti esponenti anarchici vengono fermati e interrogati, tra loro c’è anche il ferroviere Giuseppe Pinelli. Trattenuto per tre giorni in Questura, ben oltre i termini consentiti, l’anarchico Pinelli muore in seguito a una caduta dalla finestra di un ufficio al quarto piano.

Pochi giorni dopo la strage, il tassista Cornelio Rolandi racconta agli investigatori di aver accompagnato un uomo con una valigetta in piazza Fontana poco prima dell’esplosione. Afferma che si tratta di Pietro Valpreda, poeta, scrittore e ballerino anarchico. Il tassista lo riconosce in un confronto. Valpreda viene arrestato il 16 dicembre ed è dipinto sui giornali come “mostro”, “belva” e “sicuro colpevole”. Il suo alibi – era a casa malato – non viene creduto. Uscirà dal carcere solo tre anni più tardi, e sarà assolto in via definitiva nel 1987.

Mentre sorgono dubbi sulla pista anarchica, arrivano dal Veneto notizie che aprono un nuovo filone di inchiesta. Nel gennaio del 1970 un giovane insegnante di Treviso, Guido Lorenzon, dice ai carabinieri che un suo amico, militante dell’estrema destra, gli ha raccontato di aver avuto un ruolo in attentati organizzati con lo scopo di provocare una svolta a favore di una guida autoritaria del Paese, sull’esempio di quanto accaduto in Grecia con la dittatura dei Colonnelli. L’uomo si chiama Giovanni Ventura.

Il processo inizia finalmente a Roma il 23 febbraio 1972, poi viene spostato a Milano per incompetenza territoriale e quindi a Catanzaro per motivi di ordine pubblico. È l’avvio di un procedimento infinito, uno dei più lunghi e celebri di sempre. La Corte d’assise condanna all’ergastolo Freda, Ventura e Giannettini, ritenuti gli organizzatori della strage. In appello tutti gli imputati vengono assolti dall’accusa principale

La vicenda giudiziaria pare chiusa senza condanne. Ma la ricerca della verità riparte negli anni Novanta con l’inchiesta del giudice istruttore milanese Guido Salvini che, indagando sul gruppo di estrema destra Ordine Nuovo

Il nuovo processo parte il 24 febbraio 2000 a Milano e il 30 giugno 2001 porta alla condanna all’ergastolo di Zorzi come esecutore della strage, di Carlo Maria Maggi come organizzatore e Giancarlo Rognoni come basista. Carlo Digilio ottiene la prescrizione Stefano Tringali viene condannato a tre anni per favoreggiamento. Ma nel 2004 le condanne vengono annullate e la Cassazione conferma la decisione un anno più tardi.

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