Coronavirus, Facebook vieta gli annunci dei No-vax. E la libertà d’espressione?

Facebook ha annunciato che vieterà gli annunci che scoraggiano le vaccinazioni, nell’ambito di una stretta contro la disinformazione sulla pandemia da Coronavirus. Il controllo dell’informazione si avvicina alla censura?

Non sono una giurista ma, a memoria, l’articolo 21 della Costituzione Italiana afferma il principio della libertà di manifestazione del pensiero. “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”, recita la legge, chiarendo poi – al Comma 1 – che la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Ancor prima della nostra Costituzione, a ribadire tale principio c’erano già stati i “Bill of Rights“, cioè le storiche carte dei diritti americane e inglesi. E a conferma, si è nel tempo ribadito un altro principio fondamentale che regola la stampa o la diffusione di informazione: il pluralismo.

Sono principi liberal-democratici, validi ai tempi della carta ma validi anche oggi, nel mondo universale dei social e di Internet. E, come se non bastasse, il riferimento a tali principi può essere ricercato anche altrove. Nella Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ad esempio, all’articolo 10 afferma che “ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza considerazione di frontiera”. E ancora, l’ articolo 11 della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, del lontano 1789, definisce la libertà di manifestazione del pensiero come “uno dei diritti più preziosi dell’uomo”.

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Libertà di manifestazione del pensiero vuol dire, in altre parole, consentire ad un soggetto di esprimersi all’interno di una società; è presupposto fondamentale per la partecipazione alla vita pubblica e sociale; è un principio democratico che andrebbe richiamato alla mente ogni qual volta si assiste a limitazioni di tali libertà. Una prova, al riguardo, è l’ultima decisione di Facebook. Il colosso ha annunciato che vieterà gli annunci che scoraggiano le vaccinazioni, nell’ambito di una stretta contro la disinformazione sulla pandemia da Coronavirus. Saranno quindi bloccati quegli annunci che scoraggiano esplicitamente le vaccinazioni, mentre saranno permessi quelli che discuteranno delle leggi o delle politiche governative sulle vaccinazioni. Il provvedimento di Facebook non si limita ad un ruolo “passivo”, ma comprende anche una campagna in favore del vaccino contro l’influenza.

Disinformazione e libertà d’espressione, un binomio possibile?

“Il nostro obiettivo è far sì che i messaggi sulla sicurezza e l’efficacia dei vaccini raggiungano il più ampio gruppo possibile di persone, vietando allo stesso tempo annunci disinformativi che possano danneggiare gli sforzi per la sanità pubblica”, ha spiegato Facebook. E ci sarebbe da discutere a lungo, ben oltre questa sede, sul difficile binomio che lega disinformazione e libertà d’espressione. Come tutelare quest’ultima, mantenendo saldo il diritto all’espressione di ciascuno, anche quando si travalica la soglia che divide la “sana informazione” dalla “cattiva informazione”?

E’ sicuramente vero che, quando i mezzi di comunicazione sfondano le case, si ampliano opportunità ma anche i rischi legati all’uso del mezzo. Per questo motivo, soprattutto, i mass media nascono come media regolamentati e ad accesso controllato. Spesso, però, il tentativo di regolamentazione si trasforma in una vera e propria forma di censura. Internet, invece, proprio per il suo carattere globale e universale, è l’unico mezzo che, volente o dolente, porta a compimento la democratizzazione della libertà di manifestazione del pensiero. Qualcosa di elitario un tempo, oggi estesa a chiunque. E chiunque può esercitare effettivamente tale libertà.

Ciò nonostante, le restrizioni alla libertà di manifestazione del pensiero sono molteplici. E basta guardarsi intorno. La direttiva copyright è solo un esempio, ma guardando agli Stati Uniti la guerra in corso tra Twitter e Donald Trump non fa altro che caricare di significato politico la dimensione dei social che, non a caso, è a tutti gli effetti una dimensione “sociale”. Che permette, cioè, la socialità. Ogni cittadino, in sostanza, ha diritto al mantenimento dei propri diritti, anche e soprattutto in rete. Eppure, i codici di condotta – il già citato copyright o norme di contrasto alle fake news – impongono sistemi di filtraggio che incidono immancabilmente sui contenuti immessi online dai singoli cittadini. Ogni tentativo di regolamentazione tende la maggior parte delle volte a ridurre i confini di uno spazio per definizione aperto e libero, che si avvia al contrario a modellarsi come uno spazio limitante, controllato, precondizionato. E oggi, ad esercitare queste violazioni in nome di un politically correct, sono proprio le piattaforme del web, le grandi aziende come Facebook, Google, Twitter, Microsoft.

Internet un sistema chiuso?

Non dimentichiamo, infine, che è proprio il dibattito politico a connotarsi come il cuore di qualsiasi società democratica. Non è bloccando le voci contrarie che si crea uguaglianza, quanto piuttosto lasciando spazio al dialogo, alla critica, alle opposizioni che si determina la crescita sociale. Se il dissenso, insomma, viene strozzato all’origine non c’è crescita, ma passo indietro. Non spetta a Facebook inserirsi nella polemica dei No vax, né dei negazionisti, né dei complottisti. Ovviamente, non tutte le opinioni sono tutelabili, ma solo quelle che non mirano a sovvertire la democrazia o a cancellare la libertà di manifestazione del pensiero. Una libertà frutto di anni di lotte e di battaglie e che consente oggi al cittadino di partecipare alle decisioni della sua comunità. Una libertà che qualsiasi cittadino ha diritto ad esercitare, nel suo ruolo attivo o passivo. E invece, le limitazioni che oggi i social impongono, in questa o altre occasioni, si avvicinano sempre più a rendere Internet un sistema “chiuso”. Un sistema in cui, da regolamentazione, ci si avvicina alla censura.

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