Tumore al seno, scoperta nel nostro Paese proteina che consente diagnosi precoce

Tumore al seno, scoperta nel nostro Paese proteina che consente diagnosi precoce. Ecco i dettagli della scoperta

tumore al seno-Meteoweek.com

 

Scoperta nel nostro Paese una proteina chiave che consente di effettuare la diagnosi precoce del tumore del seno più aggressivo. Si tratta di una scoperta pubblicata sulla rivista iScience, ad opera di scienziati guidati da Massimo Zollo, genetista Ceinge e Università Federico II, in partnership con l’Istituto Nazionale dei Tumori Ircs Fondazione Pascale. Gli studi degli scienziati si sono concentrati sulla forma più aggressiva del suddetto cancro, ossia sul carcinoma mammario triplo negativo (Tnbc) rappresentante il 20% di questo tipo di tumore.

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Lo studio ha provato che la proteina  Prune-1 si trova in maggiore quantità nel 50% delle cellule tumorali delle donne che soffrono di questa forma di tumore al seno. Tale proteina è legata alla progressione del disagio e alle metastasi a distanza nei polmoni, nonché alla presenza nel tessuto tumorale di macrofagi di tipo M2, che sono a loro volta collegati a un alto rischio di sviluppare metastasi. Dagli esperimenti eseguiti nei topi, gli scienziati hanno notato che quando i geni Prune1 e Wnt1 nella ghiandola mammaria sono oltremodo espressi si producono sia questa forma aggressiva di tumore al seno, ma anche metastasi polmonari. Secondo il ricercatore Fatemeh Asadzadeh (Federico II e  Ceinge) , “abbiamo avuto la conferma che quando questi geni sono iper-espressi, si verificano prognosi peggiori”.

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Dalla ricerca è emerso anche che nei topi c’è una piccola molecola non tossica, “in grado di inibire la conversione dei macrofagi verso il fenotipo M2 e di ridurre il processo metastatico al polmone”, spiega Zollo. Con gli esiti di questo studio è stato possibile produrre un kit capace di individuare all’esordio quali tumori di questo tipo hanno più probabilità di sviluppare metastasi nei polmoni o in altre aree del corpo più distanti. Secondo Zollo ci vorranno 1-2 anni di validazione, per provare “la sua efficacia nella diagnosi clinica“.

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