Blitz contro clan D’Alessandro: tra arresti e sequestri

Duro colpo alla camorra da parte dei carabinieri del Comando Provinciale di Napoli, che nel corso di un blitz coordinato dalla DDA hanno arrestato 16 persone ritenute affiliate alla famiglia camorristica D’Alessandro di Castellammare di Stabia (Napoli). Gli inquirenti ipotizzano, nei loro confronti, l’associazione di tipo mafioso, estorsione continuata e in concorso, detenzione illegale di armi comuni da sparo. Tutti i reati sono aggravati dalle finalità mafiose. I militari dell’Arma hanno anche eseguito un sequestro di beni per un valore di circa 6 milioni di euro: 6 auto e 2 moto, 2 appartamenti, 11 rapporti finanziari, tra conti correnti, libretti di risparmio, depositi di titoli, carte di credito, 3 imprese, rispettivamente del settore della ristorazione, dell’edilizia e della somministrazione di alimenti e bevande e le quote di societarie di due imprese edili.

clan D'Alessandro

I 16 arresti sono opera delle indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli e delegate al Nucleo Investigativo dei carabinieri di Torre Annunziata, che riguardano un ampio spettro temporale compreso tra il 2017 ed il 2020. Durante questo periodo, grazie all’alleanza con i clan Afeltra-Di Martino, i D’Alessandro, facevano i loro affari criminali anche sul territorio limitrofo dei Monti Lattari, sino alla Penisola sorrentina. Il clan D’Alessandro, infatti, già tra il 2017 e il 2018 aveva rialzato la testa grazie alle figure criminali di Sergio Mosca, alias “zì Sergio o’Vaccaro”, Giovanni D’Alessandro, alias “Giovannone” e Antonio Rossetti, alias “Guappone” , reggenti ad interim del clan e componenti di un direttorio creato ad acta in assenza di appartenenti di rango della famiglia malavitosa, curando gli interessi della famiglia in attesa delle scarcerazioni eccellenti.

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Gli investigatori hanno documentato diversi episodi di estorsione messi a segno dal clan attraverso il suo “braccio armato” costituito da Antonio Longobardi alias “Ciccillo” e Carmine Barba, che custodivano l’arsenale, in maniera parcellizzata, per ridurre gli effetti dei sequestri. Poi c’era un imprenditore edile, Liberato Paturzo, votato a soddisfare gli interessi del clan attraverso una serie di servigi: partecipava agli appalti pubblici, forniva informazioni sull’aggiudicazione di pubblici incanti, segnalava gli imprenditori da avvicinare per l’imposizione del racket. Le rendite veniva moltiplicate attraverso l’investimento dei ricavi delle estorsioni nell’usura.

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