La morte di Luana D’Orazio, 22enne originaria di Pistoia, è l’emblema della mancanza di sicurezza sul posto di lavoro in Italia. Ma è già il secondo infortunio mortale dall’inizio di quest’anno avvenuto in un’azienda tessile tra Prato e Pistoia. Lo scorso 2 febbraio era morto schiacciato da una pressa a Montale Sabri Jaballah. Aveva 23 anni. La giovane toscana invece è rimasta impigliata nel rullo del macchinario a cui stava lavorando. La mattina di lunedì 3 maggio è stata trascinata e uccisa dall’orditoio (la macchina che si occupa della preparazione verticale della tela che andrà a creare la trama del tessuto) all’interno dell’azienda tessile in un distretto di Prato – a Oste di Montemurlo – in cui lavorava da circa un anno. Durante il tragico incidente era presente anche un collega della donna, posto accanto a lei ma girato di spalle. Per questo, non avendo “udito grida di aiuto”, non si è accorto in tempo cosa stesse succedendo.

Le indagini sulla morte di Luana D’Orazio

Nonostante l’arrivo tempestivo di vigili, carabinieri e sanitari, Luana D’Orazio ha perso la vita. E ha lasciato una bambina di 5 anni. Una volta accertato il decesso, il macchinario dell’orditoio e l’area circostante sono stati posti sotto sequestro dai tecnici della Asl Toscana centro, per verificare il funzionamento dei dispositivi di sicurezza. Com’è possibile, viene da chiedersi, che lavorando a contatto con macchinari così pericolosi non ci siano sistemi di sicurezza che blocchino immediatamente la funzione in caso di incidente? E di chi sono le responsabilità di questi morti sul posto di lavoro? Per capirlo la magistratura ha disposto l’autopsia per accertare le cause della morte. Inoltre, si stanno svolgendo sul posto tutti gli accertamenti del caso.

Le responsabilità politiche

Per garantire – e aumentare – la sicurezza sul posto di lavoro non è possibile affidarsi completamente ai privati proprietari delle aziende. Serve una tutela a livello legislativo nazionale. Anche perché, negli ultimi cinquant’anni, è stato fatto fin troppo poco in merito. Lo hanno ricordato in una nota i sindacati Cgil, Cisl e Uil di Prato. “Non si può non rilevare che ancor oggi si muore per le stesse ragioni e allo stesso modo di cinquant’anni fa: per lo schiacciamento in un macchinario, per la caduta da un tetto”, si legge.

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E continua la nota: “Non sembra cambiato niente, nonostante lo sviluppo tecnologico dei macchinari e dei sistemi di sicurezza. È come se la tecnologia si arrestasse alle soglie di fabbriche e stanzoni. Dove si continua a morire e dove, troppo spesso, la sicurezza continua ad essere considerata solo un costo. Fanno eco alla nota congiunta dei tre sindacati le parole di Pierpaolo Bombardieri, segretario generale della Uil, e di Luigi Sbarra, segretario generale della Cisl. “Morire così non è accettabile”, ha detto il primo. Questa è “un’altra tragedia che ci addolora, ora basta”, ha commentato il secondo,

Le reazioni della politica

In Italia, insomma, tutto resta com’è sul posto di lavoro. Non si fa mai niente per aumentare le tutele dei lavoratori, ma quando avvengono queste morti inaccettabili si verifica la solita “rincorsa” alla dichiarazione pubblica. Tutti si dicono indignati, nessuno si impegna per cambiare le cose. Così si dice “sgomento” il sindaco di Montemurlo, Simone Calamai: “Covid e pandemia rischiano di farci perdere di vista il problema delle morti sul lavoro, ha detto per sua stessa ammissione.

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Mentre parla di “grande senso di ingiustizia, di rabbia e dolore immenso” Alessandro Tomasi, sindaco di Pistoia. E aggiunge che il suo pensiero “va alla madre e al padre di questa ragazza, al figlio piccolo che lascia e al fratello”. È infine intervenuto anche Eugenio Giani, presidente della Regione Toscana. “Non si può morire sul lavoro a nessuna età”, ha detto il governatore. E ha aggiunto che questa tragedia “chiama ancora una volta alla responsabilità di tutti. Primi tra tutti i politici che possono – e devono – legiferare in merito al più presto.