Mario Draghi sarebbe un buon Presidente della Repubblica?

La candidatura di Draghi al Quirinale viene avanzata, sponsorizzata o comunque avallata ormai da tutti i partiti. Il consenso intorno all’autorevolezza dell’ex presidente della Bce sembra unanime. E forse proprio per questo, bisogna preoccuparsi

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I giorni passano e l’ipotesi di Mario Draghi al Quirinale sembra sempre più concreta. 

Certo, l’insistenza con cui i partiti discutono di una sua eventuale candidatura sembra portarlo sempre più lontano dal Quirinale, se è vero come ama ripetere Renzi che nelle Quirinarie, “chi entra Papa esce cardinale”. Una considerazione indubbiamente veritiera, ripensando a tutti i colpi di scena a cui abbiamo assistito negli anni scorsi. Lo stesso Mattarella d’altronde non era tra i candidati forti, e il suo nome venne fuori soltanto in seguito al parricidio renziano.

Destra, sinistra, centro: tutti sembrano concordi nel definire Draghi il profilo perfetto. Ma è davvero così? Sulla base di cosa abbiamo trasformato Draghi in un santone che mette d’accordo tutti?

A me vengono due obiezioni.

La prima riguarda un certo revisionismo storico che viene fatto sul passato di Draghi, che adesso ci si presenta come uomo di grande appeal internazionale, di irreprensibile carriera prima accademica e poi professionale. L’unico, dicono le sue groupie, che in Europa ha fronteggiato i falchi europei, l’unico che con il suo Quantitative Easing ha avuto la competenza e il coraggio per tirarci fuori dal baratro. Come l’attuale premier sia diventato ai nostri occhi una sorta di paladino anti-austerity, l’unico in grado di farci rinascere economicamente, è un mistero. Un mistero a cui però possono appassionarsi solo gli ignoranti. Soltanto chi ignora, può leggere in quest’ottica la carriera di Draghi, il suo regno alla Banca Centrale Europea, ma anche ciò che aveva fatto prima, quando era un semplice economista al servizio della finanza.  

L’uomo che questa sinistra tanto stima, è lo stesso che avviò in Italia le liberalizzazioni selvagge, lo stesso che guidò il processo di austerity in Grecia durante il suo mandato. E non mi risulta che Draghi abbia mai denunciato in merito quanto accadeva in Grecia a causa della Troika e di riforme che trasformano una crisi economica già molto grave, in un bagno di sangue capace di portare Alba Dorata oltre ogni limite previsto. 

Non voglio essere frainteso:  la vita di Draghi è fatta di luci e ombre, e dentro la luce ci sta sicuramente quel bazooka che ha letteralmente salvato il vecchio continente, durante la crisi innescata dai subprime americani, da una deflagrazione monetaria che avrebbe lasciato più morti che feriti. Ma magari ad una lettura più approfondita della sua carriera e del suo passato istituzionale, si può anche constatare come le ombre siano molte di più, e di un’entità tale da far soccombere anche quel poco di buono che politicamente ha portato avanti. 

Passiamo alla seconda obiezione.

Mario Draghi e Biden al G20 (Getty Images)

Qualche tempo fa, Corrado Formigli, nel corso di una dialogo con Roberto Saviano, faceva notare come, nella sua lunga carriera da giornalista, era la prima volta che si ritrovava davanti un premier che sfuggisse in modo così netto alle domande dei giornalisti. Il conduttore di Piazza Pulita spiegava l’impossibilità anche solo di sperare di strappare una qualche risposta a Draghi nei momenti in cui lo si aspettava fuori da Palazzo Chigi. Per non parlare della possibilità di averlo ospite in trasmissione, una semplice utopia. Formigli dunque sollevava con Saviano un problema legittimo: è giusto che un premier instauri questo rapporto con i giornalisti, e con l’opinione pubblica in generale? No, perché questa è una democrazia. Fa anche ridere amaramente attestarlo adesso, nell’ennesimo governo tecnico ( o di unità nazionale?!) in cui ci ritroviamo come se il nostro voto fosse una triste formalità. E proprio in virtù di questa eccezionalità, Draghi doveva evitare di presentarsi come il silenzioso e anaffettivo uomo del fare tanto amato dai neoliberisti, e confrontarsi invece con il popolo che rappresenta. 

Fin dall’inizio del suo mandato, il nostro premier ha scelto il silenzio, ed è un silenzio che fa male a molti cittadini, anche se la politica fa finta di non vederlo, di continuare a pensare che Draghi sia invece amato dal popolo in virtù del suo curriculum ineccepibile e del suo efficace modo di agire. Chi pensa che le sue comunicazioni sottilmente paternaliste sul perché dobbiamo ad esempio vaccinarci, abbiano fatto arrabbiare poche persone, probabilmente non ha il polso della situazione reale nel paese. 

Vogliamo far diventare Presidente della Repubblica, custode della nostra costituzione, un uomo che interpreta in questo modo il suo ruolo di premier? Un premier che ci tratta come fossimo un branco da gestire, e non invece un’entità sovrana da ascoltare e con cui confrontarsi. 

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Mario Draghi si è presentato come il premier che prometteva di essere, l’uomo dell’alta finanza che non guarda in faccia nessuno e rimette a posto i conti, il pragmatismo fatto persona, ma che proprio per questo, è intrinsecamente apatico, anaffettivo verso chi soffre, verso chi sta scontando la povertà, questa crisi economica più di altri. 

Personalmente, immaginarlo come nuovo Presidente della Repubblica, mi provoca un’inquietudine forte, pari a quella che vorrebbe un certo condannato di Arcore, di attestata indole corruttiva, con legami mai spiegati con la mafia, come erede di Mattarella. 

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