Delitto Serena Mollicone, la conferma della testimone:«Quella mattina entrò in caserma»

Nell’udienza in corte d’Assise, Sonia De Fonseca, amica dell’amante di Tuzi, brigadiere che si tolse la vita, racconta che costei le confidò che Serena era in caserma quel giorno

Durante l’udienza in corte d’Assise a Cassino, Sonia De Fonseca, testimone chiave del processo, ha confermato che Serena era lì in caserma la mattina in cui sparì, ossia il 1° giugno 2001. De Fonseca è amica della Torriero, amante del brigadiere Santino Tuzi, poi suicidatosi dopo aver raccontato della presenza di Serena Mollicone in caserma quel giorno, come riporta Il Corriere della Sera.

Serena Mollicone-meteoweek.com

«Anna Rita Torriero era preoccupata, la mattina in cui Santino Tuzi venne trovato morto. Usò il mio telefono per chiamarlo e in quella occasione mi disse di aver visto Serena Mollicone nella caserma dei carabinieri di Arce, dove lei si trovava per essere andata a portare un panino a Tuzi», ha raccontato De Fonseca.

La testimone chiave racconta ancora:«Torriero mi disse anche che secondo lei Marco Mottola era coinvolto nel delitto di Serena. Anna Rita mi disse che Santino si era suicidato perché sapeva del coinvolgimento di Marco Mottola nel delitto di Serena e che Tuzi temeva per sé e la sua famiglia». 

Il fatto che De Fonseca possa essere una testimone attendibile è spiegato all’interno dell’informativa dei militari che redassero il suo verbale il 6 ottobre del 2008 e in cui si legge chiaramente che la ragazza «non aveva interessi o implicazioni nella vicenda e di certo non poteva conoscere aspetti molto particolari e circostanziati che non ha vissuto direttamente né potevano essere di dominio pubblico: ne consegue che l’unica fonte da cui la stessa abbia potuto attingerle è davvero la sua amica Anna Rita Torriero, come d’altronde la Da Fonseca ha sempre affermato».

Il caso del teste minacciato

Nel corso dell’udienza, il magistrato ha anche parlato del caso di un testimone che avrebbe subìto minacce e che sarebbe stato ricattato per mentire. Si tratta di Simonetta Bianchi, sulle cui dichiarazioni la procura chiede che non vengano considerate, per acquisire, invece, quelle rilasciate nel primo periodo dell’inchiesta. Bianchi è una barista che il 17 aprile 2002 raccontò di aver visto Serena discutere con un ragazzo ‘biondo meshato’ intorno alle 10 del mattino del 1 giugno 2001. Si tratta di una descrizione molto simile a quella di Carmine Belli, processato e assolto per il delitto, e corrisponderebbe alla figura di Marco Mottola, figlio del comandante dei carabinieri.

Tuttavia, il 25 luglio 2002, quando fu chiamata per confermare tali dichiarazioni, Bianchi emise un certificato medico che attestava di aver avuto un sinistro stradale in cui suo padre era morto mentre guidava lei e disse di non ricordare più niente ‘perché sono successe molte cose’.

Ma questa tesi della perdita di memoria è ritenuta ‘illogica’ dai magistrati poiché l’avevano ascoltata già sette volte prima di quel giorno, senza mai nessun certificato medico. Ergo il magistrato ritiene che la testimone non sia attendibile perché condizionata e chiarisce che ha avuto un comportamento «timoroso dovuto non da interna paura ma da influenza esterna, altrimenti non sarebbe andata a testimoniare già con certificato medico».

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