Coronavirus: le case non si vendono e non si comprano, danno miliardario

Coronavirus. La casa fa i conti con la crisi: fino a 113 miliardi di euro. Giù le compravendite anche se tengono le quotazioni. Un conto comunque pessantissimo.

Il coronavirus ha messo in ginocchio molti comparti dell’economia italiana, non si sa se e dove investire in un momento di tale emergenza, anche perchè non esiste una data precisa in cui possa finire tutto. Anche l’investimento per eccellenza, l’immobile, deve fare i conti con il virus. Da 55 a 113 miliardi di euro in tre anni. E’ il conto pesantissimo che la crisi del coronavirus presenterà al mattone residenziale in termini di perdita del fatturato. La stima è di Nomisma, che ha presentato i dati del suo primo osservatorio 2020 del mercato immobiliare. La previsione, fatta sulla base dei dati disponibili oggi e suscettibile di variazioni «ma più al peggio che al meglio», come ha spiegato l’ad dell’istituto bolognese di ricerca, parte dalla considerazione che si compreranno molte meno case: di qui al 2022 la diminuzione dei rogiti andrà da un minimo di 278 mila a 587 mila unità.

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Tuttavia, nella sua stima, Nomisma ipotizza un calo solo modesto  delle quotazioni: dal 3 al 10% cumulati nel triennio, un dato che ipotizza una resistenza sui prezzi richiesti da parte dei venditori. Resistenza che però, basandosi su quanto già avvenuto dopo il crollo del 2012, con il passare dei mesi potrebbe anche crollare. Le ragioni che fanno pensare a una calo così marcato delle vendite: molte persone avranno meno soldi a disposizione, con tassi di disoccupazione in crescita sempre nel triennio tra i due e i quattro punti. Nonostante i tassi più favorevoli che mai, i mutui diventeranno molto più difficili da ottenere, perché le banche stanno ancora liberandosi delle sofferenze incassate dopo la crisi del 2012 e non vorranno riempirsi ancora di garanzie ipotecarie giudicate a rischio. E poi c’è la presumibile diminuzione della domanda da investimento, che nelle grandi città lo scorso anno era stato il driver di sviluppo del mercato. Acquisti fatti soprattutto con lo scopo di mettere la casa sul mercato degli affitti brevi e che già prima dello scoppio del coronavirus stavano creando qualche ripensamento nei risparmiatori.

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