Quando in Italia si decideva chi salvare: il dramma Coravirus negli ospedali

Alberto Giannini scrisse il documento della Siaarti che diceva di curare prima i pazienti Covid con più speranze di vita. Oggi commenta: “Era necessario”.

Coronavirus: quando decidemmo chi salvareSei marzo. L’Italia è nel pieno della pandemia. La Siaarti, Società Italiana di anestesia e rianimazione, pubblica sul suo sito un documento: sono le 15 raccomandazioni che la società invia ai primari di tutte le terapie intensive. E’ un testo duro, che rispecchia la situazione disastrosa degli ospedali in quei giorni. Si legge nel documento: “Il principio per cui il primo paziente arrivato è anche il primo assistito non è più adatto. Il criterio da privilegiare per l’ammissione ai trattamenti intensivi diventa quello della maggiore speranza di vita“.

Il testo trapela e i giornali riportano la notizia generando grande choc in tutto il Paese. Ma quelle linee di intervento, seppur così crudeli, erano necessarie. Lo sottolinea oggi l’uomo che ha scritto il documento: Alberto Giannini, 58 anni, una vita passata tra studi e ricerca, responsabile della Terapia Intensiva Pediatrica di Brescia. “In alcuni ospedali le ambulanze non riuscivano più nemmeno ad entrare. Avevamo 10, 30, 60 pazienti che arrivavano tutti insieme con difficoltà respiratorie; ma pochissimi ventilatori“. Queste le parole di Giannini, che trova solo ora la forza di raccontare quelle tragiche giornate.

“Con più tempo avremmo potuto essere più chiari”

Giannini afferma di aver scritto il documento con le raccomandazioni per il soccorso dei malati Covid in sole 48 ore, con l’aiuto del collega Marco Vergano di Torino. “La necessità di dare delle linee guida era impellente” – commenta. Proprio i tempi stretti con cui il testo è stato redatto ne avrebbero pregiudicato la chiarezza e contribuito così a generare caos e paura.

Giannini sottolinea che il documento era destinato ai specialisti delle terapie intensive, che avevano le competenze per interpretare correttamente le sue parole. “È passata l’idea di una discriminazione legata all’età. Ci sarebbe voluto da parte nostra uno sforzo di maggiore chiarezza” ha detto Giannini. E ha chiarito: “Il problema non è l’età anagrafica in sé, ma ciò che dal punto di vista biologico l’età rappresenta. Il punto è che anche in condizioni ordinarie il medico deve prendere decisioni spesso molto difficili. Se si intuba il paziente che è in condizioni peggiori, attribuendogli così l’unica risorsa salvavita, il rischio è lasciare senza chi magari ha più chance di salvarsi. In definitiva, il rischio è avere 2 morti, anziché un morto e un guarito“.

Il sistema sanitario regionalizzato ha peggiorato la situazione

Giannini punta il dito contro un sistema sanitario troppo regionalizzato, che ha impedito a molti pazienti di essere curati in regioni vicine alla loro. Giannini denuncia che per alleggerire il peso nelle terapie intensive lombarde i pazienti erano spesso spostati in Sicilia o in Germania invece che nel vicino Veneto. “A fronte di iniziali disponibilità, dagli ospedali di quella Regione arrivavano poi dinieghi” – ha spiegato. E ammonisce: “Vuol dire che questo sistema sanitario fortemente regionalizzato non si è dimostrato equo“.

Per Giovanni la tragedia dovuta al Coronavirus ha “lasciato a tutti un senso di vulnerabilità“. Inoltre ha aggiunto che “come medici ci ha dimostrato che le nostre conoscenza sono ancora incomplete”, segnalando il bisogno di scommettere sempre più in nuova ricerca.

 

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