Operai rinunciano alle ferie per salvare il posto di lavoro

Si tratta di 900 piccole e medie imprese situate tra Padova e Venezia. Le grandi firme sono andate a bussare dai produttori e loro hanno risposto.

Fabbriche scarpe Veneto no ferie Covid

Il Veneto, simbolo dell’Italia che si è sollevata da tanti disagi, tra cui due guerre. Questa volta il nemico è il Covid-19. Riemergono così dei racconti, dei ricordi, che spingono le persone a dare il meglio per non arrendersi. “Tre figli che studiano e il mutuo per la casa da pagare: se devo scegliere tra le ferie al mare e il posto di lavoro, penso a mio padre emigrato in Germania con una valigia piena di sandali da vendere”. La paura c’è, quella di non farcela. “Per questo un’estate in fabbrica – ha dichiarato Romina Povo, 46 anni, operaia – non è la fine del mondo. Faremo un sacrificio. Ci sono quei certi momenti: dividono il destino di chi molla da quello di chi tiene duro. Io non voglio vedere mio figlio che va via, inseguito dalla fame come suo nonno”.

“Se falliamo i clienti comprano altrove”

Gli operai che lavorano tra Padova e Venezia sono 11mila, collocati nelle 900 piccole e medie imprese delle scarpe di lusso. Sono stati fermi forzatamente due mesi, adesso le firme dell’alta moda internazionale hanno bussato alla loro porta. “Dobbiamo rimontare il Covid – ha dichiarato Ernesto Chinellato, da quarant’anni responsabile qualità di un marchio esclusivo – altrimenti qui torna il deserto della polenta quotidiana. Anche la puntualità è qualità: se falliamo, i clienti comprano altrove”. Il Veneto, combattivo come sempre, è entrato nella modalità anti-covid: luglio e agosto a tagliare e a cucire le scarpe per chi è più ricco perfino di una pandemia.

E così le vacanze vengono rinviate a Natale o sospese. “Dopo la metà del Novecento – ha dichiarato Nadia Maso, delegata sindacale di un’impresa storica di Fiesso d’Artico – non è mai successo. In agosto tre settimane di ferie erano una conquista indiscutibile. La crisi post-Covid ci proietta invece in un universo ignoto, in cui anche i diritti cambiano faccia”. Non esiste un accordo in merito, si tratta di qualcosa non scritto: se c’è da sudare si suda.

Fabbriche Veneto no ferie estive post covid
Fiesso, Padova: fabbrica scarpe Louis Vuitton.

A spaventare la fine blocco licenziamenti

“Qualcuno salterà le ferie del tutto – ha dichiarato Lucrezia Bresolin, specializzata in incollaggio tacchi – altri riusciranno a staccare la settimana di Ferragosto. Per farcela potremmo però aumentare gli straordinari e lavorare anche il sabato. Nessuno è stato obbligato: il fatto è che se si chiude, è finita anche per noi”. La maggioranza è tornata attiva ora dopo tre mesi di cassa integrazione a 900 euro, anticipata dai datori di lavoro. A spaventare è la fine del blocco dei licenziamenti imposto dal governo, tra metà agosto e dicembre. Sono tante le imprese pressate dal credito delle banche e dalle richieste di ordini da parte dei clienti.

“La verità – ha dichiarato Luca Maso, calzolaio di 48 anni – è che la crisi qui fa più paura del virus. Restare improvvisamente a casa, senza nulla da fare e senza stipendio, è stato uno shock. Guardi i figli, vedi le loro domande negli occhi e ti vergogni. Io so come si fa una scarpa: se nessuno me lo chiede più, per la mia famiglia anche sognare è proibito”. Il lockdown, con l’agonia mondiale dell’emozione da lusso, per le scarpe-gioiello è arrivato alla fine di tre ondate di crisi: la finanziaria nel 2008, l’e-commerce dal 2012, la mania per le scarpe sneakers di quattro anni fa. Il risultato è stato meno 40% di fatturato e rischio crac.

Fabbriche scarpe di lusso in Veneto no ferie

Adattarsi per potersi salvare

“Se vogliamo salvarci – ha dichiarato Roberto Barina, titolare di uno dei calzaturifici che fornisce i brand di alta gamma più desiderati del mercato – dobbiamo adattarci. Le grandi marche hanno ancora otto negozi su dieci chiusi, in ogni continente. Quotate in Borsa, non possono fermarsi e anche noi abbiamo il dovere di fare la nostra parte per sostenere l’economia: per questo dico grazie ai collaboratori, disposti a sacrificare affetti e vita personale senza aprire vertenze superate dall’emergenza”.

Una questione sicuramente importante sarà la gestione dei bambini, in quel periodo di luglio e agosto in fabbrica. Il Nordest ha riaperto nidi e centri estivi, quota base 170 euro a settimana. Sono 680 euro al mese, più della metà dello stipendio medio. I soldi risparmiati quindi finirebbero tutti lì. “Non sarà una passeggiata – ha dichiarato Marco Oppi, 55 anni, operaio – ma i figli un giorno capiranno che è stato meglio rinunciare a un’estate in spiaggia con mamma e papà: per salvare il loro lavoro, la propria opportunità di studiare e di scegliersi il futuro. I miei genitori hanno fatto di più, senza mai lamentarsi”.

Se il mondo si ferma, le scarpe non servono

Questa condizione di ferie annullate, fa ben sperare. Significa che ci sono ancora dei clienti, con collezioni pagate e non vendute. Per i grandi terzisti l’obiettivo è recuperare i mesi rubati dal Covid. Per i piccoli, resistere facendo valere il proprio marchio. “Siamo nella tempesta – ha dichiarato Gilberto Ballin, presidente dell’associazione che rappresenta i calzaturieri del distretto – ma a togliere il fiato è la possibilità di una riesplosione della pandemia. Oggi, grazie al sacrificio dei dipendenti, proviamo a passare l’estate lavorando. Se con l’autunno il virus tornerà a fare strage e a sigillare il mondo, di lavoro non potremo più nemmeno parlare. L’incubo è il cliente che non può permettersi di ordinare niente perché nessuno può entrare in un negozio. L’ultima cosa a cui pensa chi è chiuso in casa, è comprare scarpe nuove per uscire”. Se il mondo si ferma, non vi sono scarpe da acquistare, non c’è alcun cammino da affrontare.

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