Coronavirus ed i superdiffusori, la scienza cerca risposte

Alcune persone, in genere asintomatiche sono particolarmente predisposte alla diffusione. La scienza cerca di comprendere il perché e come fermarle.

Coronavirur e superdiffusori la scienza studia come bloccarli

Il Coronavirus sotto molti punti di vista è ancora un mistero. I numeri delle infezioni sono un’incognita che la scienza sta cercando di comprendere, ad esempio: Il cantante di un coro americano ha infettato 52 persone, un ospite di un matrimonio in Giordania 76, un 29enne che ha trascorso una serata nei locali di Seul 79. Ci sono quindi persone che riescono a contagiarne molte altre, alcuni invece tengono il microbo per sé.

Individui con carica virale alta

Massimo Galli ha dichiarato: «Purtroppo i superdiffusori non hanno un alone attorno che ci permette di riconoscerli» ed ha aggiunto, il direttore dell’ospedale Sacco di Milano: «Sospettiamo, anche se non siamo sicuri, che si tratti di individui con carica virale alta», quindi con una grande quantità di virus in corpo. Quando si fa il tampone è possibile anche intuire la dose di microrganismo. «E nelle ultime settimane abbiamo ripreso a vedere cariche alte» hanno confermato all’unisono il direttore del Sacco, il microbiologo dell’università di Bologna e della Ausl Romagna Vittorio Sambri e quello dell’università di Padova Andrea Crisanti.


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Il tampone ti identifica come superdiffusore?

Partendo dal referto del tampone non è possibile però attribuire ad una persona il ‘ruolo’ di superdiffusore, Sambri ha spiegato: «Il tampone positivo contiene una certa quantità di virus. In laboratorio lo facciamo replicare. Da una copia ne otteniamo due, da due quattro e così via, per 40 volte. Quando si raggiunge una quantità soglia, il test rileva il virus. Se questo avviene al 28esimo ciclo, la persona ha una carica alta. Se avviene al 40esimo, è minima» che ha poi aggiunto: «Dividiamo i tamponi in 4 classi a seconda del ciclo di replicazione in cui compare la positività. I risultati possono variare in base al metodo: c’è un errore del 15%. Ma potremmo, con un secondo test, prendere le cariche più alte e quantificarle con più precisione».

Coronavirus la scienza studia i superdiffusori

Una strategia ancora da perfezionare

Questa strategia ha purtroppo ancora dei punti deboli, Crisanti ha spiegato: «La carica virale dipende molto dal momento in cui si fa il tampone. Dopo il contagio aumenta, poi ridiscendere verso la coda dell’infezione. A Milano, nei mesi scorsi, hanno annunciato che i contagiati avevano cariche virali basse e la malattia era diventata più lieve. Molti in realtà erano tamponi effettuati sulla scia dei test sierologici positivi, quindi su persone avviate verso la guarigione».

Coronavirus superdiffusori la scienza studia come bloccarli

Secondo Galli «sarebbe comunque utile che la stima della carica virale sia specificata nei referti. Le persone possono così regolarsi». L’identikit del contagiato-ciminiera ha anche un altro indizio. «Si tratta di asintomatici o quasi» secondo Crisanti. «Altrimenti non andrebbero in giro». Prima di etichettarli e pensare a misure di isolamento speciali, però, bisognerebbe capire quali cause — probabilmente genetiche — rendono alcuni più efficienti di altri nel diffondere goccioline contagiose. «Per ora — ha dichiarato Crisanti — riusciamo a rintracciare i superdiffusori solo a posteriori, ricostruendo le catene di contagio». Il problema, oggi, è che i candidati al ruolo stanno aumentando. La fase in cui parlavamo di contagiati con tracce minime di virus è alle spalle. «Vari colleghi dei laboratori — ha dichiarato Galli — mi hanno confermato che i nuovi infetti hanno cariche molto più alte rispetto a qualche settimana fa».

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