Prestiti digitali, il grande balzo del credito non bancario nel mondo

I prestiti erogati dai colossi tecnologici (572 miliardi di dollari) sono assolutamente preponderanti, un fenomeno però legato soprattutto alla Cina. 

Prestiti digitali, il grande balzo del credito non bancario

I prestiti erogati da società FinTech o da piattaforme di colossi tecnologici stanno assumendo un ruolo sempre più rilevante nell’economia globale. In tal senso, il credito alternativo cresce sempre di più. Ne è un chiaro esempio il Working paper della Bank of international settlements (Bis). Alla fine del 2019, gli “alternative credit” sono balzati a circa 795 miliardi di dollari in tutto il mondo, una cifra che nel 2013 si aggirava intorno ai 20,5  miliardi di dollari.

Ad oggi, sono FinTech credit e Big-tech credit a contendersi il primato del credito alternativo. In particolare, Big-tech credit è costituito dalle grandi società tecnologiche, quali Amazon o Alibaba che avendo un’ampia base di utenti, da un lato sono facilitati nel trovare i potenziali debitori e dall’altro sfruttano i big data in loro possesso per definire il merito di credito e gestire il rischio. Nel modello FinTech, invece, il core business è proprio l’emissione del prestito. Qui la tecnologia, il canale digitale, è il vero fattore abilitante. Un’attività, nata soprattutto su piattaforme online de-centralizzate per singoli privati, che via via si è evoluta. Tanto che la presenza di “prestatori” istituzionali sta diventato la norma.

Il valore dei prestiti erogati dai giganti tecnologici arriva a circa 572 miliardi. FinTech, invece, si assesta intorno a 223 miliardi. Eppure, fino al 2016, i ruoli erano invertiti. Poi dal 2017 Big-tech credit ha preso il sopravvento. La motivazione va ricercata nell’evoluzione del più importante mercato dei prestiti alternativi: la Cina, la quale ha conosciuto una crescita tumultuosa, una crescita da un lato accompagnata e agevolata dalla tecnologia, ma dall’altro sprovvista di un consolidato sistema bancario indipendente ed efficiente. Effettivamente, tale mancanza di regole hanno portato ad una lunga serie di fallimenti. Una dinamica che, unitamente alla successiva stretta imposta da Pechino, ha ridimensionato il fenomeno: nel 2015 le piattaforme digitali erano 3.600, adesso quelle censite sono 343.


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I crediti alternativi in Italia

A spiegare la situazione italiane è Giancarlo Giudici, direttore dell’Osservatorio Crowdinvesting del Politecnico di Milano: “In particolare in Italia al 30 settembre scorso dovremmo avere superato la cifra del miliardo di prestiti cumulati nell’ultimo quinquennio. In realtà no. Nel mercato domestico l’offerta di credito da parte del FinTech incontra una domanda che spesso non è nel radar degli istituti di credito oppure hanno una struttura finanziaria, magari perché uscite da una procedura in concordato, che non rientra negli standard della banca stessa. A fronte di ciò non si dovrebbe parlare di concorrenza, bensì di complementarietà tra i due mondi”.


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I crediti alternativi negli Usa

Negli Stati Uniti, patria delle grandi industrie della tecnologia e del digitale, verrebbe da pensare che il “Bigh-tech credit” spopoli, ma la realtà è differente. Ciò nonostante ci siano numerosi nuovi progetti: dalla Apple Card realizzata in collaborazione con Goldman Sachs fino alle strategie di Google che, ad esempio, sta avviando un conto corrente con il supporto di Citi, Stanford Federal Credit Union e altre banche. Eppure, negli Usa il “Big tech credit” non ha grande rilevanza. Ciò sarebbe da accreditare ai canali di accesso al credito presenti in America: diversificati ed efficienti. Il che costituisce un freno, analogamente alla normativa sull’attività bancaria che rappresenta una barriera all’ingresso. Differente, invece, il discorso sul FinTech. Questo, grazie a realtà quali Lending Club, SoFi, Prosper o OnDeck, è stimato oltre 70 miliardi di dollari.

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