Covid, Cauda: “Fase ascendente, ecco quando avremo il picco”

In Italia, dove è in corso la seconda ondata di Covid-19, la curva dei contagi non ha ancora raggiunto il picco. La diminuzione dei casi di positività al virus, dunque, è ancora lontana. A parlarne l’infettivologo Roberto Cauda.

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Roberto Cauda, direttore dell’Unità operativa di Malattie infettive del Policlinico Gemelli di Roma – meteoweek.com

La seconda ondata del Covid-19 si è abbattuta sull’Italia. Il timore, complice l’arrivo dell’inverno, è che possa causare danni ancora peggiori rispetto alla prima. I numeri relativi ai casi di positività crescono di giorno in giorno e sul Paese aleggia l’ombra di un nuovo lockdown. Il dottor Roberto Cauda, direttore dell’Unità operativa di Malattie infettive del Policlinico Gemelli di Roma, ha analizzato la curva dei contagi ed effettuato delle stime relative al futuro andamento di quest’ultima.

Cauda: “Il picco è lontano”

Il dottor Roberto Cauda, ordinario di Malattie infettive all’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore dell’Unità operativa di Malattie infettive della Fondazione Policlinico Gemelli Irccs di Roma, ha le idee ben chiare in merito al drammatico andamento della curva dei contagi di Covid-19. L’infettivologo ha spiegato che il picco è ancora lontano, ma attraverso il rispetto delle norme igienico-sanitarie e di distanziamento sociale è possibile accelerare il suo arrivo.

Attendiamo il picco anche questa volta“, dice Cauda. La differenza tra la prima ondata e la seconda, tuttavia, sta nel genere di persone che diffondono il virus. “Ad agosto abbiamo registrato una ripresa del virus con i giovani contagiati che per l’ 80% hanno diffuso il virus in famiglia. Questo non vuol dire che la famiglia sia un luogo pericoloso ma dobbiamo capire che le persone avendo una vita sociale possono contrarre il virus all’esterno della famiglia e poi trasmetterlo all’interno del nucleo famigliare“.

Accelerare l’arrivo del picco può essere una soluzione per fermare più velocemente l’ondata. “Il picco si vede quando si abbassa la curva. Prendiamo atto che si tratta di un virus che si trasmette attraverso le goccioline emesse: dobbiamo evitare tutto quello che può aumentare il rischio. Ci vogliono scelte consapevoli e coerenti sia da parte dei cittadini che da parte delle autorità“. Le armi per lottare contro il Covid-19 sono dunque sempre le medesime. “A costo di sembrare banale: è indispensabile l’uso delle mascherine al chiuso e all’aperto ed anche in famiglia quando si ricevono estranei. Mantenete la distanza anche quando ci si incontra fuori. Mascherina e distanza aumentano la protezione. Il lavaggio delle mani è importante: uno studio giapponese dimostra che questo virus dura sei ore sulla cute, il virus influenzale permane due ore invece. Se non ci si può lavare le mani, usate il gel disinfettante“.

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Le armi contro il Covid-19 – meteoweek.com

È spinosa anche la questione relativa agli asintomatici. “Voglio essere chiaro: più persone vedi e più rischi di infettarti anche attraverso gli asintomatici. Si stima che il 20% dei contagi siano asintomatici: persone che non sono ammalate ma possono trasmettere l’infezione. Oltre ai malati identificabili ci sono dunque gli asintomatici che sono infettanti. Questo cambia le nostre conoscenze pregresse su altri virus e dobbiamo farci i conti“.

L’indice Rt

A preoccupare gli esperti, in questi giorni, è l’indice Rt in vertiginoso aumento. In ben undici regioni il tasso di trasmissibilità ha superato 1,5. L’Italia, dunque, è sostanzialmente dentro allo scenario 4 dell’Iss, il più grave.

Da agosto ad oggi – spiega Cauda c’è stata una coincidenza di molti fattori. Quando si applica il lockdown in due settimane l’Rt che ora è 1,5/1,6 scende al di sotto dell’1. Cioè c’è una forte riduzione della circolazione del virus”. Tra la prima e la seconda ondata, tuttavia, ci sono delle importanti differenze. Una di queste è proprio la stagione a cui si va incontro. “Alla fine di giugno – continua – abbiamo terminato il lockdown, abbiamo vissuto di più all’aria aperta e le occasioni di assembramento erano minori. Ma sono fattori che non sono bastati. Il vero frutto di questa estate con pochi contagi è stata l’onda lunga del lockdown“.

Anche il picco nella curva dei contagi della prima ondata e quello della seconda saranno diversi. Innanzitutto per l’età media dei positivi. “Oggi registriamo molti più casi, prima di tutto. A marzo-aprile, attorno al 22-23 marzo c’è stato il picco della prima ondata e poi il decremento. L’età media dei contagi era 66 anni nella prima ondata, oggi al momento è 42 anni. Si vedevano molti meno casi prima perché facevamo circa 30 mila tamponi al giorno, oggi che è in corso la seconda ondata ne facciamo circa 200mila. Il virus, più lo cerchi e più lo trovi, è chiaro“.

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I numeri, tuttavia, almeno per ora sembrano essere meno drammatici. “Oggi ci sono 13 tamponi positivi su 100, nella prima ondata erano 20-30 tamponi su 100. Quindi la situazione era più grave. Quanto al picco: oggi siamo ancora in una fase ascendente. La settimana scorsa eravamo tra i 10 mila e oggi siamo a 20 mila contagi al giorno. Solo a posteriori possiamo dire quando c’è stato il picco e quindi quando cominci a vedere la curva che scende“.

Il sovraffollamento degli ospedali

Il direttore dell’Unità operativa di Malattie infettive della Fondazione Policlinico Gemelli, inoltre, ha parlato del nuovo dpcm del Premier Giuseppe Conte. Da solo, quest’ultimo, non può fermare il Covid-19. “L’obiettivo in questa fase – spiega Cauda non è di bloccare il virus ma cercare di far sì che i contagi si spalmino su più giorni: bisogna evitare lo tsunami, il sovraccarico delle strutture sanitarie”. Per averne gli esiti, inoltre, è necessario attendere. “Non dimentichiamo che quando guardiamo i numeri dei contagi giornalieri stiamo osservando quello che è successo fino a 15 giorni fa. C’è un tempo di latenza: 5-6-7 giorni di incubazione, dal momento che si fa il tampone a quando hai l’esito passano ulteriori giorni. Un altro aspetto è l’osservazione del numero dei decessi, dei ricoveri in ospedale, e delle persone che vanno in terapia intensiva tutti i giorni“.

L’obiettivo, dunque, è evitare il sovraffollamento degli ospedali. “Avere un’occupazione di pazienti Covid-19 ricoverati superiore al 40% negli ospedali e del 30% nelle terapie intensive porta a un sovraccarico del sistema sanitario. Anche perché non dobbiamo dimenticare i pazienti non Covid. Le misure servono a rallentare la pressione sugli ospedali“, sottolinea Cauda. I numeri finora non sono troppo preoccupanti, ma il raggiungimento delle soglie può arrivare in tempi brevissimi, dato l’andamento dei contagi. “A marzo in terapia intensiva c’erano circa 4 mila persone, ora sono poco sopra il migliaio (ieri: 1651). Altro aspetto importante: mentre nella primavera scorsa l’infezione era presente prevalentemente al Nord soprattutto in Lombardia, oggi colpisce tutta l’Italia con alcune regioni più colpite come la Campania, segno evidente che il Centro-sud non è più protetto“.

Il rapporto tra tamponi eseguiti e casi di positività, intanto, sta salendo in modo preoccupante. “Non è una buona notizia. Meno di una persona su 100 che faceva il tampone questa estate aveva il Covid-19. Poi, questo dato è andato lentamente aumentando. L’OMS mette il 3% o il 5% di rapporto tamponi eseguiti/positivi come soglia per avere una diffusione non più per focolai ma nella comunità. In altre parole che se vai oltre il 5% non riesci più a identificare, e quindi a circoscrivere, i focolai. Hai una circolazione del virus generalizzata. Noi abbiamo oltrepassato da settimane la soglia del 5%“.

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Un nuovo lockdown potrebbe essere, dunque, ad un passo. Lo ha sottolineato, in conclusione, l’infettivologo Roberto Cauda: “Questa è l’ultima chiamata prima di un lockdown, questa è la mia impressione. Dobbiamo essere responsabili nella scrupolosa osservanza delle misure di prevenzione“.

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