Il caso degli anziani ricoverati nelle RSA che, se pur vaccinati, non possono riabbracciare i propri parenti. Una condizione che genera pericolose conseguenze a livello psicofisico.
RSA, una sigla che abbiamo imparato a conoscere dallo scorso anno e divenuta tristemente famosa come sinonimo di luogo di contagio e di mala gestione degli anziani ospiti da parte delle Istituzioni. Eppure le Residenze Sanitarie Assistenziali, così si esplicita il famigerato acronimo, costituiscono ad oggi un fiore all’occhiello per quanto riguarda la copertura vaccinale poichè, sebbene non raggiunta la totalità dei pazienti, hanno una percentuale di vaccinazioni prossima al 100%. Verrebbe dunque da pensare come naturale conseguenza che i degenti abbiano potuto in queste settimane riabbracciare o perlomeno interagire in tutta sicurezza con i propri cari, ritrovando quel calore familiare che la distanza imposta dal Covid aveva momentaneamente sopito.
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Così non è e purtroppo, dati alla mano, appare evidente come i dirigenti delle strutture che hanno in carico gli anziani, ancora non abbiano dato disposizioni per consentire il ritorno a una socialità e al contatto con l’esterno da parte degli anziani, desiderosi di riabbracciare i familiari. Ne abbiamo parlato con Federica Trapletti, segretaria SPI (Sindacato Pensionati Italiani) presso la CGIL Lombardia, che evidenzia come “purtroppo i familiari di tanti anziani che ancora non hanno potuto incontrare i loro cari di persona ci raccontano di evidenti peggioramenti sia nella condizione fisica che cognitiva dei loro anziani. Infatti è riconosciuto dagli stessi medici che la vicinanza degli affetti è una parte fondamentale del percorso di cura, a volta persino più importante dei medicinali“.
La Dott.ssa Trapletti infatti sottolinea come la massiccia disponibilità di dispositivi di protezione individuali unite all’avanzamento della campagna vaccinale che, nella sua seconda dose, ha coperto quasi il 90% dei soggetti ospiti nelle RSA (sebbene passi in avanti devono essere fatti per il personale sanitario che opera all’interno delle suddette strutture) non siano stati sufficienti a riaprire le visite verso il mondo esterno. “Noi non riusciamo a intravedere nessun valido motivo da parte delle strutture di continuare ad impedire le visite se non che sia più semplice e meno costoso evitare ogni possibile contatto anzichè affrontare il problema assumendosi la responsabilità di mettere in atto tutte le misure atte a garantire la massima sicurezza“.
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Gli espedienti per riavvicinare i degenti con i propri parenti ci sono state in questi mesi come ad esempio le cosiddette “stanze degli abbracci” oppure l’impiego di videochiamate, anche se queste ultime dipendono dalla disponibilità del personale sanitario a fornire assistenza tecnica al paziente e alle condizioni psico-fisiche del paziente stesso, non sempre in grado di sostenere una chiamata via web. “Oggi per fortuna esistono altre modalità che consentono un incontro coi familiari: alcune strutture si sono organizzate con tavoli divisi da plexiglass e poi ci sono le stanze degli abbracci, strutture gonfiabili al cui interno può esserci un contatto visivo e una vicinanza fisica come un abbraccio seppur in presenza di un telo di PVC, ma in totale sicurezza” Le conseguenze della mancanza di una ripresa di socialità e della continuazione di un forzato isolamento, lamenta la Trapletti, si vedono nei peggioramenti della condizione fisica e cognitiva degli anziani.
A volte insomma, il buon esito della cura dipende dalla ripresa, da parte del paziente, dell’inserimento in un contesto di socialità ed affetto che, al pari di un medicinale, lenisce il dolore, calma la sofferenza e restituisce l’anziano alla Vita.