Lo Stato revoca la scorta a pentito di mafia: “Temo per la mia famiglia”

Bonaventura, ex affiliato della ‘ndragheta, collabora da 15 anni con lo Stato. La revoca della protezione mette in pericolo moglie e figli

Lui continua la sua collaborazione con la giustizia ma lo Stato ha deciso di revocargli la scorta. A rischiare non è solo Luigi Bonaventura, ex-membro della ‘ndragheta e pentito dal 2006, ma soprattutto la sua famiglia. Che i pm prendessero questo tipo di decisione “era già successo l’8 ottobre 2014, quando mi revocarono il programma di protezione scaduto da tre anni, con la scusa di interviste non autorizzate – racconta lo stesso Bonaventura all’Adnkronos -. Ho finito di scontare tutta la mia pena il 23 marzo 2018. Per me non chiedo niente ma adesso sta succedendo la stessa cosa a mia moglie, la stessa donna che mi spinse a collaborare, ai nostri figli, alla madre, ai miei due cognati, uno disabile e l’altro investito il 21 aprile scorso sulle strisce da un ubriaco. Sospendano questa condanna a morte per la mia famiglia“.

Ora Bonaventura chiede aiuto alle istituzioni, a don Luigi Ciotti di Libera e all’antimafia. Bonaventura teme soprattutto ripercussioni, la ‘ndrangheta potrebbe vendicarsi sui figli e la moglie per cercare di farlo tacere. “Cosa ci vuole a cambiare un cognome? – continua Bonaventura – I miei figli sono andati a scuola con una croce sulle spalle. Questo sistema non ci vuole ascoltare, cerca pretesti nonostante le mie richieste di portare la famiglia all’estero“.

Il pericolo per la famiglia è reale, solo tre mesi è stato rinnovato l’allarme: “Nonostante le pronunce della Dda e della Dna – spiega il collaboratore di giustizia – hanno revocato il programma di protezione accusando falsamente mia moglie di aver rifiutato un trasferimento. Io non ho tutele, quella della mia famiglia è solo sulla carta, con un alloggio prestato e un sussidio che serve a compensare tutti i diritti che ci cancellano, non potendo lavorare, girare liberamente“.

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Bonaventura insiste sul ruolo della moglie, colei che l’avrebbe convinto a lasciare la mafia per cercare aiuto dallo Stato: “Tutto questo da 15 anni, 15 anni di vuoto in cui sono stati cancellati i diritti di due famiglie, di gente che ha denunciato componenti della ‘Ndrangheta ancor prima che lo facessi io – insiste – che ha portato me a collaborare. Parliamo di persone che hanno pagato sulla propria pelle una vita limitata dalla protezione, che per questo si sono ammalate, come mio cognato, che sono state guardate male, respinte, denigrate. Mi hanno promesso un futuro diverso per i miei figli. Invece da un campo di battaglia li ho tolti e in un altro li ho portati“.

Quella di Bonaventura è una infanzia complicata, vissuta in una terra dove l’unica alternativa è quella della affiliazione, dove non esiste altro che violenza e soprusi: “Sono cresciuto in una delle più note e violente famiglie di mafia, un bambino soldato con il mantra di ammazzare, ormai irrecuperabile. Mi sono redento, ho scontato la mia condanna, collaboro con 14 procure antimafia e il 20 luglio prossimo devo andare a testimoniare a un processo, sono stato audito due volte per Rinascita Scott. Mia moglie, che mi ha preso per mano e mi ha accompagnato in questa lotta per la legalità, oggi rischia di finire in mezzo alla strada insieme alla sua famiglia“.

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Alla fine di tutto però la revoca della scorta. L’ex-mafioso chiede la sospensione della revoca per aiutare la famiglia: “Se non vogliono rinnovare il programma di protezione speciale ai miei familiari – conclude – almeno gli diano una risoluzione necessaria per 15 anni di contributi non versati, la possibilità di organizzarsi, la sistemazione dei documenti, il cambio di nome. Noi siamo senza referenze, chi ci da una casa coi miei precedenti? Penso di essere un collaboratore importante, sospendano la revoca almeno il tempo di organizzarci. Se qualcosa a oggi non cambia, la mia famiglia il 23 agosto prossimo rischia di dover lasciare gli alloggi, senza sussidi, mentre io continuo ad andare a testimoniare. Sembra fatto tutto ad arte per scoraggiarci, ma io credo in questa lotta perché credo in una società migliore“.

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