La lettera dal carcere di Luca Traini: “Non sono un mostro come mi hanno descritto”

Luca Traini, l’autore della tentata strage del febbraio 2018, parla dal carcere in una lunga lettera: “Non sono un mostro come mi hanno descritto”. Il carcere lo ha cambiato: “Mia mamma e la piccola Pamela mi guidano e mi proteggono”.

la lettera dal carcere di Luca Traini - meteoweek.com
la lettera dal carcere di Luca Traini – meteoweek.com

Parla per la prima volta dal carcere di Monteacuto (Ancona) l’autore della tentata strage di Macerata del 3 febbraio 2018, ovvero Luca Traini. L’uomo, ora 32enne, impugnò una pistola e sparò a caso diversi colpi dalla sua auto, mirando verso alcuni immigrati africani che passavano in strada e contro alcuni edifici. In quell’episodio, si contarono sei feriti. Ma, spiega l’attentatore, la sua vita oggi è cambiata. “Non sono un mostro come mi hanno sempre descritto, il Luca di oggi è un uomo che magari fa meno notizia, rispetto al ‘Lupo’, ma che comunque c’è, esiste, sta facendo il massimo per scontare il debito che ha con la società civile e si impegna nella sua sfida”, ha raccontato infatti Traini in una lunga lettera.

“In quel periodo non stavo bene di testa”

Pubblicata in esclusiva dall’AdnKronos, la lettera firmata da Luca Traini getta luce su quanto accaduto quel 3 febbraio 2018, e cosa ha portato l’uomo a compiere un gesto simile. “In quel periodo non stavo bene di testa”, si legge nella lettera. “Una sola volta, la mia mente ha staccato la spina. Ciò che è stato mi è servito per capire dove sbagliavo nella mia vita, grazie a Dio non ci sono state conseguenze più gravi per i ragazzi feriti. Quando ero libero non avevo progetti a lungo termine, davo tutto per scontato. Mi serviva perdere la libertà per apprezzarne di più il valore, insieme alla famiglia, che all’epoca sentivo lontana e che non mi ha mai abbandonato”.

Il fatto scatenante, spiega il 32enne, fu il delitto di Pamela Mastropietro. “Non la conoscevo, ma l’ho sognata tante volte: mi appariva avvolta da tantissima luce. Emanava un calore umano di un’amica che conosco da tanto tempo, sebbene fuori non la conoscessi. La prego sempre, prego che possa trovare la pace. Seguirò con ansia e con molta attenzione la Cassazione di Oseghale a gennaio 2022. Spererò nel lavoro della giustizia. Dio illuminerà la via. Ora voglio laurearmi e magari lavorare in semilibertà. Vedremo, farò il massimo: da lassù la mia cara mamma e la piccola Pamela mi guidano e mi proteggono. Appena uscirò, andrò a trovarle al cimitero”. Sulla tentata strage, invece, ribadisce: “Per fortuna nessuno è morto, non sono diventato un vero e proprio assassino, tutto si può risolvere”.

La vita in carcere: “Voglio diventare una persona migliore”

Nella lettera, Traini parla anche della sua vita in carcere, delle sue attività quotidiane. “Ho manifestato una certa ideologia in maniera folkloristica – spiega il detenuto – ma altro non era che un’immagine fittizia che mi ero creato come scudo. Un po’ come il fisico: quando entrai in carcere pesavo 132 kg di muscoli, sviluppati in anni di palestra per sfuggire al bullismo che subivo a scuola perché ero grasso. Andavo in palestra a fare pesi per sfogarmi quotidianamente dalle delusioni della vita. Ora sono molto cambiato, forse l’evoluzione della mia anima ha fatto evolvere anche il mio corpo”.

E prosegue: “Faccio palestra, sport, yoga, meditazione buddista che ben si abbina alla preghiera cristiana. Poi leggo libri di ogni genere, ascolto musica rock, soul e jazz. Scrivo moltissime lettere, pulisco, lavo i vestiti e a volte cucino. Tutto questo, solo quando sono a riposo dal lavoro, perché in carcere sono aiuto-magazziniere. Seguo i corsi, le attività di reinserimento, faccio il massimo per far capire che in 32 anni ho sempre lavorato e seguito le regole”.

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“Sono in carcere da quasi quattro anni, spiegarlo a chi non c’è mai passato non è facile”, sottolinea poi il 32enne. Del resto, “le condizioni sono quelle largamente denunciate dai Radicali e dai sindacati di polizia penitenziaria e per cui l’Italia si è vista infliggere multe e rimproveri dall’Ue”. “In questo contesto oggettivo – spiega però Traini – ho comunque trovato grande umanità, sia da parte degli agenti penitenziari che da altri detenuti. Chiaramente il mio reato all’inizio era odioso per chi sta scontando condanne per reati di droga, ma col tempo la mia serietà e la mia correttezza mi hanno fatto guadagnare il rispetto di tutti. Non ho mai negato la gravità del mio gesto e ne ho accettato le conseguenze da subito, sin da quando tornai indietro per consegnarmi ai carabinieri”.

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Sulla vita che lo aspetta una volta scontata la condanna (12 anni di reclusione), Traini si mostra infine molto ottimista: “Raramente penso al mondo là fuori con occhi di cambiamento, ma non rinuncerò mai alla mia voglia di futuro, di crescere individualmente come uomo e cittadino, di costruirmi un destino, lavorare sodo, trovare una brava ragazza e mettere su famiglia. Insomma, vivere in pace. Se il sistema mi darà i mezzi e la fiducia per uscire di qui, farò il massimo per essere un uomo migliore di come sono stato finora. Il carcere mi ha maturato e fatto diventare più consapevole. Il carcere raramente riabilita, se uno non vuole, ma se uno lo vuole, come nel mio caso, si può imboccare la strada giusta. Lo faccio sia per me, per riprendermi la mia vita, sia per le persone che mi amano, familiari, amici, persone che credono in me”.

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