Non si parla più di Andrea Rocchelli, giornalista assassinato dall’armata ucraina nel Donbass

Andrea Rocchelli fu ucciso nel 2014 nel Donbass  con l’attivista russo per i diritti umani, Andrej Mironov. Un terzo uomo, William Roguelon, fotoreporter francese, restò ferito in modo grave

Andrea Rocchelli-meteoweek.com

Sono trascorsi otto anni dalla morte del giornalista Andrea Rocchelli, assassinato in Ucraina con l’attivista russo per i diritti umani, Andrej Miranov, nei dintorni della collina di Karachun, nella regione del Donetsk, il 24 maggio 2014. Rocchelli era lì per documentare gli accadimenti durante la guerra nel Donbass, in un conflitto che in quel periodo interessava solamente quella regione e che vedeva lo scontro tra soldati fedeli al governo ucraino e rivoltosi filorussi.

Su quella collina,  oltre ad Andrea Rocchelli e ad Andrej Miranov che persero la vita, c’era un terzo uomo, William Roguelon, fotoreporter francese, che restò ferito in modo grave. I tre uomini erano in una zona in cui c’era un’antenna televisiva, bene fondamentale che i militari ucraini dovevano difendere in ogni modo, poiché era sita in una posizione strategica.

Ora, a distanza di anni, dopo la sentenza della Corte d’Assise di Pavia del luglio 2019, che condannò un soldato della Guardia nazionale ucraina, poi assolto in appello, e con conferma di tale verdetto in Cassazione, la verità su quei due decessi è ancora tutta da chiarire. A tal proposito, nelle motivazioni del verdetto della Corte d’Appello, è scritto che «la ricostruzione dei fatti, così come emerge dalle prove processualmente utilizzabili e dalle considerazioni svolte […] porta questa Corte a concordare con le conclusioni della Corte d’Assise di Pavia, in merito alla provenienza dei colpi che hanno ucciso Rocchelli e ferito Roguelon», ossia che i proiettili che venivano dalla collina Karachun erano stati esplosi «dai militari dell’armata ucraina».

Nelle motivazioni è scritto che l’assalto è occorso «senza alcuna provocazione e offensiva, né da parte loro né dei filorussi». D’altra parte, le indagini della procura di Pavia hanno trovato alcuni ostacoli da parte delle autorità ucraine, ecco perché non si sa molto delle responsabilità nel decesso del fotoreporter italiano.

Di recente, i genitori del giornalista, hanno commentato:«Condanniamo la spietata invasione dell’Ucraina e stiamo dalla parte della popolazione che la subisce. Quanto accade conferma l’intuizione di nostro figlio che quella zona fosse cruciale per il futuro del continente. Andrea era amico dell’Ucraina e degli ucraini. Ciononostante ad ucciderlo, nel maggio 2014 a Sloviansk nel Donbass, sono state le forze armate Ucraine. I testimoni, le prove, i risultati delle indagini e tutti i tre gradi del processo non lasciano dubbi. Ma le autorità ucraine hanno sempre negato». E ancora, hanno aggiunto:«Alla luce della rinnovata amicizia dichiarata fra Italia e Ucraina, dopo questa tragedia in corso, appena sarà possibile, fra i due stati la vicenda dovrà essere chiarita perché finalmente giustizia sia fatta».

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In un colloquio con Adnkronos, Silvia Manzi, oggi nella direzione nazionale dei Radicali italiani, racconta di come ha seguito il processo sul decesso del giornalista pavese e commenta:«Non c’erano le prove, come stabilito nel processo d’appello, che Rocchelli sia stato ucciso da Markiv (militare ucraino condannato in primo grado e poi assolto in Appello e Cassazione, ndr), perché non c’erano le prove per dimostrare che Markiv si trovasse in quel luogo in quel momento. Il processo, lo abbiamo sempre detto, non sarebbe neanche dovuto iniziare».

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Manzi spiega di aver seguito il processo perché conosceva Mironov, l’attivista russo assassinato con Rocchelli, e quando è venuta a conoscenza del fatto che Markiv fosse finito in manette, ha scelto di seguire il caso. A questo proposito, Manzi commenta palesando le sue perplessità:«Il processo di primo grado mi è parso subito stonato perché si trattava di attribuire la responsabilità a un individuo in uno scenario di guerra. Fra l’altro, all’inizio, l’accusa era che Markiv avesse sparato e ucciso, poi è cambiata in concorso in omicidio. E Markiv accusato di aver dato le informazioni sulla presenza dei giornalisti, colpiti in quanto tali. Ma le cose non tornavano. Markiv, fra l’altro, avendo vissuto in Italia, parlava italiano e quindi era un contatto per i giornalisti italiani. Con alcuni di loro aveva un rapporto molto stretto e dunque le sue responsabilità già stonavano».

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Manzi ribadisce, dunque, che sul decesso di Rocchelli «non si è fatta ancora giustizia» perché, a suo parere,«le indagini svolte a senso unico, esclusivamente sulla parte ucraina, non hanno mai considerato una eventuale responsabilità dei separatisti russi che si trovavano lì. E purtroppo Rocchelli, Mironov e il fotografo francese che si trovava con loro ed è rimasto ferito, si sono trovati su una linea dove le due fazioni combattevano. Nel video, atroce, ritrovato sul cellulare di Rocchelli o del giornalista francese, sono riportati gli ultimi istanti della loro vita. E si sente Miranov dire ‘siamo in mezzo ad un fuoco incrociato’. Come minimo la procura doveva provare a indagare anche sui separatisti russi», ha chiosato Manzi.

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