Yara Gambirasio, il giallo del Dna di «Ignoto 1» scomparso e ricomparso

La difesa di Massimo Bossetti presenta una denuncia per cercare di riaprire il caso e far rivedere il processo.

Una denuncia che la procura di Venezia sta vagliando da mesi in un’indagine che non dovrebbe tardare a concludersi.

Giallo nel giallo nella vicenda di Yara Gambirasio, la tredicenne di Brembate di Sopra (Bergamo) scomparsa il 26 novembre del 2010 e ritrovata uccisa il 26 febbraio dell’anno successivo. Per la morte di Yara, com’è noto, la giustizia italiana ha designato un colpevole: Massimo Bossetti, condannato in via definitiva all’ergastolo per l’uccisione della ragazzina.

Ma adesso Bossetti ha presentato una denuncia per far riaprire il caso e chiedere la revisione del processo. I dubbi riguardano le tracce biologiche rinvenute sui resti di Yara che permisero di identificare in Bossetti l’«Ignoto 1». Il test che ha inchiodato il muratore di Mapello è stato sempre contestato dagli esperti della difesa. L’anno scorso i legali di Bassetti si sono visti rifiutare la possibilità di rianalizzare i 54 campioni sequestrati dopo la condanna definitiva, in particolare le tracce di Dna estratto dagli abiti di Yara, la prova-principe del processo.

La denuncia della difesa: campioni alterati dolosamente per incastrare Bossetti

Claudio Salvagni, il legale difensivo di Massimo Bossetti – Meteoweek

Durante il dibattimento i legali di Bossetti hanno appreso che la traccia decisiva, quella da cui fu estratto il Dna di «Ignoto 1», era ormai inutilizzabile perché «definitivamente esaurita». Ma la difesa non ci sta e nella denuncia presentata da Bossetti assieme a uno dei suoi legali, l’avvocato Claudio Salvagni, si fa menzione di campioni «prima scomparsi e poi ricomparsi». Il sospetto della difesa è che il materiale confiscato sia stato «conservato in modo tale da farlo deteriorare» così da rendere impossibili nuovi rilievi da parte dei difensori di Bossetti.

In sostanza la tesi è che i campioni siano stati lasciati deteriorare apposta per incastrare il muratore. Sarebbe stato violato così l’articolo 375 del codice penale: frode in processo e depistaggio, che punisce chi cerca di alterare le indagini o il processo manomettendo le prove.

In due iscritti nel registro degli indagati

La denuncia, al vaglio della procura competente – quella di Venezia – ha fatto aprire un’indagine. Nel registro degli indagati sono finiti in due: il presidente della Prima sezione penale del tribunale di Bergamo, Giovanni Petillo, e la funzionaria responsabile dell’Ufficio corpi di reato, Laura Epis.

Stando al Corriere del Veneto, nei mesi scorsi sono stati sentiti in procura diversi testimoni, tra magistrati, poliziotti e carabinieri del Ris che si sono occupati dell’inchiesta che nel 2014 ha portato ad arrestare Massimo Bossetti.

L’indagine verso l’archiviazione?

È decisamente presto per trarre conclusioni definitive ma pare che l’indagine veneziana sia alle battute finali senza che sia emersa prova di comportamenti dolosi. Stando così le cose, la procura chiederà di archiviare l’indagine lasciando alla difesa di Bossetti la possibilità di fare opposizione davanti al tribunale veneziano.

Al Correre l’avvocato Salvagni fa sapere che altri due ricorsi sono pendenti in Cassazione per chiedere il riesame dei reperti, dei quali sono ancora ignote le condizioni e quali i danni che possono aver patito nel corso del trasferimento dall’ospedale San Raffaele, dove erano stati inizialmente depositati, ai magazzini dell’Ufficio corpi di reato. «L’obiettivo della denuncia di Bossetti – spiega il legale – è proprio di sapere se sono ancora utilizzabili o se qualcuno, magari interrompendo la catena del freddo indispensabile per la buona conservazione dei campioni, abbia compromesso per sempre la possibilità di effettuare dei nuovi studi sul Dna di “Ignoto 1”».

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