Presidenzialismo bocciato alla Camera, decisive le assenze nel centrodestra

La Camera stoppa la riforma presidenzialista presentata da Fratelli d’Italia. Determinanti le assenze nella coalizione di centrodestra.

Ma molti segnali lasciano intendere che il vero nodo sia quello della legge elettorale. Decisive in questo senso le elezioni comunali a giugno.

La Camera boccia il presidenzialismo alla francese di Giorgia Meloni. Anche l’Aula, come la commissione, approva gli emendamenti soppressivi del M5s che bloccano la riforma costituzionale che voleva introdurre l’elezione diretta del Capo dello Stato.

Anche stavolta, sempre come in commissione, a incidere sono state le assenze tra i banchi degli alleati. Determinanti per affossare la riforma le assenze “ingiustificate” – non motivate da missione — tra le fila di Forza Italia e Lega. All’appello mancano in 42: 16 deputati azzurri e 26 leghisti (circa 60 gli assenti in tutto il centrodestra).

Assenze decisive, dato che la differenza tra i voti a favore (M5s, Pd, Leu e Alternativa, oltre alle forze minori) e quelli contrari (Lega, FdI e Forza Italia, più i partiti minori del centrodestra) non ha mai superato i 35 voti. Italia viva bissa l’astensione, professandosi favorevole a una riforma presidenzialista ma contraria al testo presentato dal partito di Giorgia Meloni.

Ma Meloni non attacca gli alleati della coalizione

Meloni che non attacca gli alleati di centrodestra, come nel voto in commissione. Stavolta la leader di FdI non alza i toni e dà risalto alla convergenza della coalizione: “Il voto di oggi dimostra che noi al di là delle nostre difficoltà sulle grandi questioni fondamentali abbiamo una convergenza“. Ma aggiunge anche che “sul resto però bisogna vedere”, malgrado i toni della vigilia (“vedremo quanti avranno il coraggio di sostenere la riforma, non ci sono più scuse”, aveva detto).

“Confido nella compattezza del centrodestra nel respingere una proposta di legge elettorale in senso proporzionale”, precisa poi Meloni. Parole che, secondo diversi deputati, lasciano intendere che dietro al no al presidenzialismo – e soprattutto sull’altra riforma sul proporzionalismo, col testo Fornaro che ha già avuto il primo semaforo verde alla Camera, col no del centrodestra – si nascondano altre vedute intorno al sistema elettorale.

L’ombra del proporzionale e il nodo delle comunali di giugno

Qualche giorno fa tutti i ‘capi corrente’ piddni hanno di fatto abbracciato il proporzionalismo al seminario del Pd – col via libera del segretario che ha mandato il suo braccio destro Marco Meloni.
Decisive saranno le elezioni comunali di giugno. “Dopo le amministrative capiremo se c’è un percorso comune su cui basare un miglioramento della legge” elettorale attuale, ha detto il ministro a cinque stelle D’Incà.

Nel centrodestra soprattutto Forza Italia, ma anche la Lega, potrebbero essere tentate dal proporzionale. Ne sono convinti parte dei democratici ma anche dei pentastellati. Il risultato delle elezioni di giugno potrebbe mettere la Lega davanti a un bivio, a seconda del numero di preferenze ottenute dai singoli partiti della coalizione di centrodestra.

Quel “non ostruzionismo” che fa pensare

Che la contrarietà leghista al proporzionale possa essere al capolinea lo proverebbe – secondo alcuni esponenti del centrosinistra – l’atteggiamento di oggi della Lega (e del centrodestra) sulla riforma della base elettiva del Senato. Rimane, è vero, il no dei leghisti. Perché – come ha spiegato in Aula il capogruppo in commissione Igor Iezzi – dietro c’è la volontà di una legge proporzionale. Ma è anche vero che la Lega – come Forza Italia – non ha fatto ostruzionismo, ritirando emendamenti di questo genere.

Gli ex giallorossi sono dunque convinti che la riforma della base elettiva del Senato verrà “congelata” a palazzo Madama, aspettando di vedere cosa succederà agli equilibri interni del centrodestra. Riaprendo successivamente, in caso, la discussione sulla legge elettorale. Meloni, dopo essersi rivolta in Aula a tutta la maggioranza invitandola a non votare gli emendamenti soppressivi, dicendosi disponibile al confronto sul testo, attacca Pd e M5s (“vogliono continuare i giochi di palazzo”).

Resta il fatto che il vero terreno su cui i partiti si stanno “sondando” è quello della riforma elettorale. Oggi il presidente della Camera, Roberto Fico, si è detto convinto che “ci sono ancora i margini per cambiarla”. FdI si è inalberata per la frase di Fico, definita “al limite dell’ingerenza”. Nessun commento invece da parte di Forza Italia e Lega.

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