«A quel medico va fatta una doccia». Così gli uomini di Provenzano decisero di uccidere il dottore che visitò il boss

Un’intercettazione riapre il caso della morte di Attilio Manca, l’urologo che visitò il capomafia Bernardo Provenzano.

Il medico fu trovato morto a Viterbo nel 2004. Ma i suoi familiari non hanno mai creduto al suicidio, come ipotizzato inizialmente.

Attilio Manca, l’urologo morto nel 2004. Il sospetto è che i mafiosi lo abbiano eliminato perché aveva visto troppe cose – Meteoweek

Un’intercettazione dove l’entourage del boss Bernardo Provenzano «discuteva della necessità di uccidere un medico (a quel medico «va fatta una doccia» dicono nell’intercettazione gli uomini di Provenzano)». Ne parla all’Agi l’avvocato Fabio Repici. È il legale dei familiari di Attilio Manca, l’urologo siciliano morto nella notte tra l’11 e il 12 febbraio 2004 a Viterbo, dove lavorava da poco meno di due anni. L’intercettazione, spiega il legale, che vale come «conferma alle rivelazioni già fatte da numerosi collaboratori di giustizia. E la conferma delle inspiegabili falle istituzionali che si sono verificate a protezione della latitanza di Provenzano».

Una morte derubricata a suicidio

La morte del medico era stata archiviata come suicidio. Nel corso del tempo però sono sorti numerosi dubbi su questa versione dei fatti. Senza però che si approfondisse la pista alternativa, suffragata da diversi elementi di rilievo, secondo la quale Manca fu ammazzato per aver visitato Bernardo Provenzano per il suo tumore alla prostata. Ma soprattutto per essere stato il testimone scomodo della rete di protezione costruita attorno al boss da alcuni apparati deviati dello Stato.

Un’ipotesi, questa, apparsa sempre più verosimile in questi anni, tanto che nel 2013 è stata l’oggetto della relazione di una minoranza parlamentare. Nel corpo esanime di Manca si rilevò la presenza di alcol e barbiturici. Inizialmente gli investigatori optarono subito per il suicidio, focalizzandosi sui rapporti tra il medico e Monica Mileti, una donna romana con precedenti per droga, accusata in primo grado per aver passato stupefacenti a Manca. Ma successivamente assoluta, tuttavia, «perché il fatto non sussiste».

Un’inquietante sinergia tra ambienti mafiosi e apparati deviati

L’avvocato Fabio Repici, legale della famiglia di Attilio Manca – Meteoweek

A pubblicare l’intercettazione ambientale sono stati i giornalisti Tobias Follett e Antonella Beccaria. Si sentono sei o sette uomini pronunciare diverse volte la sentenza di morte, dicendo che al medico, mai nominato esplicitamente, «andava fatta una doccia». Vale a dire che doveva essere ucciso.

«È esattamente quanto ha spiegato il collaboratore di giustizia Carmelo D’Amico. Nelle sue dichiarazioni sull’omicidio di Attilio Manca, recentemente dichiarate attendibili anche dalla Corte d’appello di Reggio Calabria che ha condannato per associazione mafiosa Rosario Cattafi – afferma l’avvocato Repici – ha spiegato che l’assassinio dell’urologo barcellonese è un delitto compiuto in sinergia da Cosa Nostra e da apparati deviati dello Stato, in uno scenario tipicamente piduista. Lo stesso generale dei carabinieri tirato in ballo dal pentito D’Amico, se si guarda l’elenco dei soci onorari del circolo Corda Fratres, era uno dei più celebri affiliati alla loggia P2».

Adesso, incalza il legale, «non ci sono più alibi per la Procura di Roma. Nelle prossime settimane chiederemo un appuntamento al procuratore Lo Voi e consegneremo nelle sue mani una denuncia nella quale compariranno tutti gli elementi raccolti in questi ultimi tempi».

La verità sulla tragica fine di Attilio Manca, accusa l’avvocato Repici, «è nascosta anche fra le pieghe degli archivi giudiziari nei quali riposano sotto tonnellate di polvere i misteri sulla latitanza di Bernardo Provenzano, protetta da settori istituzionali». Non c’è che una cosa da fare, conclude il legale: «Bisogna solo dissotterrare le informazioni insabbiate per decenni. A partire da quelle riguardanti la presenza di Bernardo Provenzano in provincia di Messina».

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