Requiem for M5S: la finta crisi di chi vuole prendersi un partito già morto

Conte chiede e ottiene un provvedimento disciplinare per Di Maio che di fatto non cambia nulla. La guerra intestina al Movimento 5 Stelle non ha a che fare con le posizioni politiche del Governo ma è solo un tentativo di prendersi il partito in prossimità delle elezioni e ridimensionare il Ministro. Il quale però è ben cosciente della sua forza. 

Il teatrino messo in atto in questi giorni dal Movimento 5 Stelle ha l’odore della cenere, l’ultimo tentativo di accaparrarsi un consenso che non c’è più, di prendersi in mano un partito morente e che non è di certo un’araba fenice. Il M5S è un uomo in coma irreversibile il cui unico destino è sopravvivere fino alla inevitabile fine.

I pentastellati sono prossimo all’estinzione. Lo dicono i numeri: consenso sotto il 12% nazionale, alle scorse amministrative dove il M5S si è presentato non ha mai superato il 5%, con punte imbarazzanti di 2% in comuni dove solo qualche anno fa vinceva le elezioni con oltre il 25%.

E a contendersi il cadavere ci sono loro: Giuseppe Conte e Luigi Di Maio. L’ex-presidente del Consiglio è stato un vero e proprio miracolato, catapultato dalle aule universitarie a capo di un Governo in cui il suo ruolo era quello del front-man fantoccio, e di miracolo (ma forse è riduttivo) possiamo parlare anche per il Ministro, arrivato ai vertici dello Stato senza mai avere preso un voto ma capace di rinsaldare la sua posizione distribuendo poltrone e posti di lavoro ben pagati a chi lo ha tenuto finora in sella.

Pur di prendersi il comando di un partito che non esiste ma che conta ancora molti parlamentari, prossimi a doversi confrontare con le elezioni politiche e quindi a una ricandidatura difficilissima, i grillini hanno deciso di passeggiare sulla crisi internazionale e “scomunicare” le posizioni prese dal Governo in merito all’invasione dell’Ucraina. Come se la guerra in Europa e il rischio di un conflitto mondiale possano essere l’occasione per fare una conta interna e stabilire gli equilibri di partito.

LA RESA DEI CONTI

La “scomunica” di Di Maio è il modo di Conte di stabilire chi comanda nel Movimento, ma il ragazzotto di Pomigliano d’Arco non ha alcuna intenzione di mollare e prepara la prossima mossa, forte del fatto che “Giuseppi” è rivestito di un ruolo, quello di  capo politico del 5S, ma privo di appoggio da parte dei grillini.

La  via appare una sola, la scissione. Le distanze sono incolmabili e il tema non è ovviamente quello dell’appoggio al Governo Draghi o l’invio di armi in Ucraina, ma le ricandidature in vista delle elezioni 2023 e del doppio mandato, della (farlocca) restituzione degli stipendi parlamentari e delle nomine dei coordinatori e consiglieri in enti locali e nazionali.

Chi sostiene Conte spera nel tentativo disperato di riacciuffare qualche punto nei sondaggi e scavalcare i compagni di Movimento ma sembra più una sorta di suicidio assistito: andare contro il Governo e le posizioni atlantiste anti-russe vuol dire trovarsi di fronte a un muro invalicabile. Il M5S non è un partito in cui è più possibile fare scalate di potere, la coperta è troppo stretta e Di Maio ha in mano quel poco spazio che resta. L’intenzione del Ministro potrebbe quindi essere quella di creare un soggetto politico, seppur piccolo, alleato del Pd che garantisca qualche seggio e abbandoni del tutto le posizioni reazionarie e fintamente giacobine che hanno contraddistinto i 5S della fase di espansione.

LA TERRA DI MEZZO GRILLINA

Tra i due contendenti c’è un mare, un esercito di eletti che non ha una posizione e molta paura di averne una. Più prevedibile quindi che, pur di conservare il posto e tirare a campare fino a primavera, il coro chieda di rinviare ogni scelta alla fine della campagna elettorale quando si scioglieranno le camere e i giochi saranno fatti. Del resto cambiare un ministro di questa importanza e mettere in crisi un governo durante una guerra è follia pura persino per loro.

Quale sarebbe di fatto la svolta chiesta da Conte e gli altri esponenti del partito al Movimento 5 Stelle? Se fosse davvero quella di bloccare l’invio di armi all’Ucraina in virtù di un pacifismo di facciata, questo significherebbe la necessità di porre la fiducia in Parlamento la quale, se non passasse, significherebbe la fine dell’Esecutivo. Impensabile anche per coloro che, fino a pochi anni fa, urlavano in piazza che uscire da un partito e cambiare posizione politica richiedesse immediate dimissioni. Di lasciare il posto nessun pentastellato ci ha mai pensato sul serio.

COME FINIRA’ DAVVERO?

Questo è comunque il momento peggiore possibile per avviare una crisi di governo, ma potrebbe finire in bolla di sapone. La “scomunica” di Di Maio è solo di facciata, un modo di ribadire i propri confini e uomini all’interno del M5S. Ma semmai la scissione avvenisse mettendo in crisi il Governo, immediatamente la palla passerebbe al Capo dello Stato. Difficile che Mattarella scelga di sciogliere le Camere in anticipo, più probabile che chieda a Draghi di verificare la maggioranza e andare avanti per ultimare i progetti del Pnrr e varare la nuova legge finanziaria, tirando a campare almeno  fino a Natale.

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