Anni di piombo, Parigi dice no all’estradizione degli ex terroristi rossi: tra loro anche Pietrostefani

La decisione della Corte d’appello parigina sorprende tutti: i due governi di Francia e Italia, ma anche i legali degli ex estremisti di sinistra.

Ora appare difficile che la situazione possa ribaltarsi in Cassazione, a meno di un ricorso – per nulla scontato – del procuratore generale.

Ieri, dopo il processo per gli attentati islamisti del 13 novembre 2015, poco prima delle 14 è arrivata un’altra decisione importante a Parigi: la corte di Appello ha pronunciato un «avviso sfavorevole» alla richiesta di estradizione in Italia di dieci ex militanti della lotta armata da decenni riparati in Francia. Una decisione inattesa anche per gli avvocati deli ex terroristi. Nell’aria c’era l’ennesimo rinvio, o una decisione per tre o quattro tra loro. Al contrario, è arrivato il no all’estradizione per tutti e dieci gli ex estremisti di sinistra.

Niente estradizione dunque per Giorgio Pietrostefani, Enzo Calvitti, Narciso Manenti, Giovanni Alimonti, Roberta Cappelli, Marina Petrella, Sergio Tornaghi, Maurizio Di Marzio, Raffaele Ventura e Luigi Bergamin. I dieci ex militanti della lotta armata potranno rimanere in Francia.

In aula, riferisce il ‘Corriere della Sera’, vola un grido: «Assassini!». Lo ha pronunciato il deputato leghista Daniele Belotti, venuto da Bergamo assieme al vicesindaco di Telgate, Cristian Bertoli, e a due carabinieri dell’associazione intitolata a Giuseppe Gurrieri, l’uomo ucciso nel 1979 da Narciso Manenti, uno degli ex terroristi a cui la Francia ha negato l’estradizione. «Siamo venuti da Bergamo a Parigi per vedere in faccia questi assassini – afferma dopo la sentenza l’onorevole Belotti, di fronte al palazzo di Giustizia – e vederli esultare è stata una pugnalata alla schiena. Non tanto a noi che eravamo qui, ma alle famiglie delle vittime e a tutti gli italiani. Gridare assassini era il minimo che si potesse fare».

Una decisione presa sulla base della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

La Corte d’appello di Parigi – Meteoweek

La corte di Appello francese ha deciso così in base al rispetto della vita privata e familiare e al rispetto del giudizio in contumacia previsti degli articoli 8 e 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La richiesta di estrazione per gli ex terroristi, otto uomini e due donne, era scattata dall’aprile 2021, nel contesto dell’operazione «Ombre rosse», quando il presidente francese Emmanuel Macron aveva deciso di accettare la domanda italiana di estradizione. Il capo di stato francese aveva riconosciuto l’applicazione sbagliata della «dottrina Mitterrand». Che avrebbe dovuto garantire sì protezione agli ex estremisti, ma solo a quelli che non si erano macchiati di delitti di sangue.

La decisione di Macron si inseriva nel contesto degli ormai ottimi rapporti diplomatici tra Roma e Parigi. Ma ha sottovalutato gli aspetti tecnico-giuridici della questione e l’indipendenza dei giudici francesi. E forse non hanno giovato alle richieste da parte italiana anche i tormentati rapporti tra la magistratura francese e il ministro della Giustizia, l’avvocato Eric Dupond-Moretti.

Così, se la volontà politica di Macron e del suo esecutivo – favorevole all’estradizione degli ex terroristi rossi – non è mai mutata, ha dovuto scontrarsi con l’interpretazione delle norme da parte dei giudici. Risultato: una decisione sorprendente per l’Italia, che azzera anni di investigazioni e diplomazia.

Ancora possibile il ricorso in Cassazione

Il caso comunque potrebbe non essersi chiuso con la decisione di ieri. Resta ancora aperta la strada del ricorso in Cassazione – entro cinque giorni – da parte del procuratore generale. «Il ministro della Giustizia farà di tutto per convincere il procuratore a presentare il ricorso – fa sapere al Corriere Jean-Louis Chansalet, avvocato di Enzo Calvitti -, il procuratore non è obbligato a farlo ma è possibile che ascolti il ministro. Poi deciderà la Cassazione. Quel che è certo è che c’era la volontà politica comune di Italia e Francia di arrivare all’estradizione, ma la giustizia ha mostrato di essere indipendente e non ha seguito gli ordini del governo francese. Il mio assistito era stato già giudicato in Francia 32 anni fa. Da un punto di vista giuridico la richiesta di estradizione non poteva tenere, il governo francese avrebbe dovuto saperlo».

William Julié, il legale che rappresenta lo Stato italiano, attende invece la decisione sul possibile ricorso del procuratore generale. Oltre a poter «conoscere nel dettaglio le motivazioni della camera di istruzione», che dovrebbero essere pubblicate lunedì.

La reazioni da parte italiana

«Rispetto le decisioni della magistratura francese, che agisce in piena indipendenza – ha detto il ministro italiano della Giustizia, Marta Cartabia —. Aspetto di conoscere le motivazioni di una sentenza che nega indistintamente tutte le estradizioni. Si tratta di una sentenza a lungo attesa dalle vittime e dall’intero Paese, che riguarda una pagina drammatica e tuttora dolorosa della nostra storia. Resta tutta l’importanza della decisione di un anno fa con cui il Ministro Eric Dupond-Moretti ha rimosso un pluridecennale blocco politico: un gesto, il suo, che è segno della piena comprensione dei drammi vissuti nel nostro Paese durante gli anni di piombo e soprattutto della fiducia del Governo francese nei confronti dei magistrati e delle istituzioni italiane».

«Altro che solidarietà europea, proteggere terroristi che hanno ucciso in Italia è una vergogna, uno schifo», ha commentato il leader leghista, Matteo Salvini. Diversa invece la reazione di Mario Calabresi, figlio di Luigi, il commissario di pubblica sicurezza per il cui omicidio è stato condannato Giorgio Pietrostefani: «Da tempo sono convinto, insieme a mia madre e ai miei fratelli, che mettere oggi in carcere Pietrostefani, condannato per l’omicidio di mio padre, non abbia più molto senso, perché è passato mezzo secolo e perché si tratta di una persona anziana e molto malata». Ad ogni modo, Calabresi ha evidenziato che «il sistema francese per decenni ha garantito impunità a persone che si sono macchiate di gravi fatti di sangue, indipendentemente dalle loro biografie, iter giudiziari, condizioni di salute».

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