Voto del 25 settembre, le mosse del Pd su seggi e alleati: coalizione o schema a 4 punte

Il centrosinistra in agitazione in vista del confronto elettorale di settembre col centrodestra. Il Pd e dintorni pensano a vari “schemi di gioco” per avere successo.

Rassemblement, coalizione, campo “largo” o “aperto”, schema a “quattro punte”. Il Pd e dintorni pensano a come giocare al meglio le loro carte.

Al voto del 25 settembre sarà fiera delle liste. Col Partito Democratico consapevole che per avere chance occorrerà radunare più partiti possibili nel “campo aperto” pensato da Letta. La sfida col centrodestra avrà luogo sul terreno politico, è vero. Ma anche il calcolo numerico avrà, inevitabilmente, un peso decisivo. Col Rosatellum infatti anche liste piccolissime potrebbero rivelarsi decisive per assegnare un seggio proporzionale, per assicurarsi la vittoria in un collegio uninominale o far crescere le percentuali di consensi dei partiti più grandi,

È dalla legge elettorale e dalle sue regole che si sono cominciate ad articolare le mosse del PD. I vertici del Nazareno hanno pensato per l’alleanza a uno schema di gioco “a quattro punte”. Uno schema che assegna a ognuna delle “punte” un ruolo e un compito: a Fratoianni di Sinistra italiana toccherà radunare ogni possibile formazione a sinistra; a Tabacci (Centro Democratico) dovrebbe, nelle intenzioni, ripescare i naufraghi del M5s e del centrodestra; per i Socialisti è arrivato il suggerimento di unirsi ai Verdi o entrare nell’orbita di Fratoianni. Il Pd invece fungerà regista dell’operazione e con la scritta «democratici e progressisti» posizionata sotto il simbolo, medita di incorporare il gruppo di Roberto Speranza.

Una scelta, quella delle “punte”, che non è caduta a caso. Ciascuna di loro si trova alla guida di un partito sul quale non pende la spada di Damocle della raccolta firme per poter presentare le liste alle elezioni. Una grana non piccola, in particolare questa volta dove le firme andrebbero raccolte in piena pausa estiva, con gli elettori in montagna o sotto gli ombrelloni. Le “punte” avranno anche il compito di catalizzare sul territorio le liste civiche. Anche uno zerovirgola tornerà utile il 25 settembre per sopravanzare l’avversario. In particolare al Senato, dove i seggi saranno ripartiti su base regionale e dove un capobastone locale può decidere il risultato finale.

Il problema di Calenda

Lo schema del “campo aperto” torna a vantaggio dei dem. I consensi dei partiti che non supereranno la soglia di sbarramento del 3% andranno infatti ai partiti maggiori. Ovvero al Partito Democratico, che in cambio assicurerà candidature sicure ai suoi alleati delle. Così i piddini sono convinti di riuscire agevolmente a imporsi al voto come primo partito a livello nazionale: un risultato che anche in caso di sconfitta metterebbe Letta in una posizione di forza.

Più difficile il discorso con Azione di Calenda che per il momento sembra sordo alle sirene piddine. Calenda appare problematico (difficile da gestire ma anche da aver contro). I sondaggi lo accreditano di un patrimonio di consensi potenzialmente in grado di fargli superare il 5%, la soglia stabilita per chi corre da solo. Una vera grana per i dem. Per evitarla, al Nazareno puntano sulla Bonino, con Letta che pressa perché entri nel “campo largo”. Lei sembra gradire la cosa. Se il Pdi riuscisse ad attirare a sé +Europa le cose cambierebbero radicalmente. Il partito della Bonino è esente dalla raccolta delle firme. Se il matrimonio con Azione si interrompesse, Calenda dovrebbe mettersi insieme una macchina organizzativa in un breve lasso di tempo.

Forse non è un caso che nella giornata di ieri Calenda sia apparso più possibilista su un’intesa col Pd: «Quello che abbiamo proposto non è un rassemblement di centro ma una coalizione tra partiti, ognuno con una sua identità. Io posso rappresentare i liberaldemocratici e i popolari se arrivano persone da Fi che mi aiutano a farlo. Noi non abbiamo preclusioni a discutere di programmi, ma partiamo da lì».

Il problema è che il Rosatellum non prevede in comune nessun candidato premier, nessun simbolo, nessun programma. E allora la discussione che si è inaugurata sull’«agenda Draghi» e sulla definizione dell’alleanza appare puramente astratta. Brunetta ha evocato un «rassemblement repubblicano», con tutti dentro tranne i pentastellati. Fratoianni vorrebbe una «coalizione progressista» con tutti dentro tutti inclusi i pentastellati. Ma il punto vero sono i conti da fare con l’aritmetica, calcolando i seggi da ripartirsi con gli alleati. Salvo orientarsi verso un centro autonomo, come minaccia di fare Renzi davanti alle turbolenze dem. Che però non può permettersi il lusso di assenze.

C’è poi Mastella che oggi presenterà il suo simbolo di «Noi di centro», avvisando i dem di non far «prevalere veti», oppure domani — ovvero il 25 settembre — «il suo risultato sarebbe compromesso». Il resto sarà più chiaro nel corso di pochi giorni, quando si vedrà come si riposizioneranno i tre ministri ex di Forza Italia (Gelmini, Brunetta, Carfagna), oltre all’ex Cinquestelle Di Maio. Il “campo aperto” di Letta — confessa al Corriere della Sera un rappresentante del centrodestra — «sarà pure politicamente un campo profughi ma può trasformarsi per noi in un campo di battaglia, specie al Senato, se non ci adeguiamo con uno schema simile».

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