Covid, il giorno in cui Shi Zenghli ha svelato al mondo il segreto del laboratorio di Wuhan

A distanza di quasi due anni non sappiamo ancora cos’è realmente successo nel laboratorio di Wuhan alla fine del 2019. 

“Mi sono chiesta se non si fossero sbagliati, non mi sarei aspettata che una cosa del genere accadesse a Wuhan“

L’11 Marzo del 2020, la rivista Scientific American riesce finalmente a intervistare Shi Zhengli. 

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La pandemia è appena arrivata in Occidente e quelli sono i giorni più drammatici: mentre il premier Conte annuncia in diretta nazionale il primo lockdown del vecchio continente, i media di tutto il mondo trasmettono le immagini dei camion di Bergamo, cittadina lombarda ritrovatasi suo malgrado in quei giorni ad essere l’epicentro mondiale dell’epidemia

L’intervista della Zhengli è un evento.

La donna è considerata dalla comunità scientifica una delle massime esperte al mondo sui  coronavirus. Una fama che ha iniziato a crescere nel 2005, quando insieme ad alcuni colleghi ha fatto una delle scoperte più importanti nella storia e nello studio dei Sars-Cov, appurando attraverso uno studio meticoloso come i pipistrelli siano  l’incubatore naturale di questo ceppo virale.  Nel 2014 inizia a collaborare con un altro massimo esperto del tema, Ralph Baric dell’Università della Carolina del Nord. Insieme si occuperanno di veri e propri esperimenti di gain of function, indagando in laboratorio sulle mutazioni genetiche dei coronavirus.  Nel 2017, la Zhengli darà vita ad un progetto per campionare migliaia e migliaia di pipistrelli in Cina, giungendo a una scoperta non da poco: tutte le componenti genetiche del coronavirus, erano state ritrovate nel Dna di una popolazione molto specifica di pipistrelli, che vivevano nelle grotte dello Yunnan. È bene specificare che nessun pipistrello di quella grotta ospitava nel suo organismo il coronavirus, ma piuttosto che questo era presente in piccole parti, nel genoma di ognuno di loro. Di qui, la teoria che forse i pipistrelli della grotta della Yunnan abbiano rappresentato in passato il vero incubatore del coronavirus per la sua trasmissione all’essere umano. 

Nel Marzo del 2020, la ricercatrice cinese concede un’intervista dopo oltre due mesi in cui sembrava letteralmente sparita nel nulla. Una sparizione di cui i media occidentali hanno anche scritto più volte, quelle erano le settimane in cui il lockdown in Occidente sembrava sempre più vicino e l’attenzione sul tema era spasmodica. 

“Potrebbe essere arrivato dal nostro laboratorio, è stato un vero peso, non ho chiuso occhio per giorni”, spiegava ai giornalisti di Scientific American. Affermazioni sorprendenti: fino a quel momento, le poche notizie che arrivavano dalla Cina su di lei, raccontavano di come la donna fosse tra gli scienziati interni al laboratorio di Wuhan che respingevano nel modo più categorico questa ipotesi.  Zheng Li in quel momento sta parlando contro il volere dei suoi superiori, racconta che già il 2 Gennaio del 2020 le fu fu proibito di esprimersi pubblicamente sull’origine della pandemia. Lei che oltretutto era stata una delle prime al mondo a isolare il virus. 

Di questa vicenda se ne occuperà un anno dopo il giornalista italiano Paolo Barnard che darà vita a una lunga inchiesta, durata oltre un anno, insieme ad affermati esponenti scientifici del settore come Steve McQuay.  Nel suo libro, il giornalista racconta di come la donna si interessò subito, come d’altronde era normale fosse, a questo coronavirus. Fu una delle prime a rendersi conto che i casi di infezione che si stavano registrando a Wuhan, erano soltanto l’inizio di una nuova epidemia. Ma non solo perché  “individuò un dettaglio ben distinto nelle proteine di Sars-CoV2: fra la selva di aminoacidi si nascondeva un’arma letale che nessun altro coronavirus nella famiglia del Sars-CoV-2 possedeva in natura“.

Come si è scoperto in seguito, grazie all’inchiesta giornalistica portata avanti da The Intercept, nel laboratorio di Wuhan in quegli anni si facevano esperimenti molto precisi sui coronavirus, e questa non era un’esclusiva cinese. 

La storia è ormai nota: dopo aver ricevuto il rifiuto da parte della Darpa di finanziare il suo progetto su coronavirus ( causato dal fatto che l’uomo proponeva nei fatti un esperimento incentrato sul guadagno di funzione, una pratica vietata negli Usa dopo la moratoria di Obama) , Daszak con l’aiuto di Anthony Fauci, riuscirà a ottenere circa 600 mila dollari di fondi per svolgere la sua ricerca tra coronavirus e pipistrelli a Wuhan. 

Nel laboratorio in cui, guarda caso, lavorava una delle più grandi esperte al mondo sul tema. 

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