Pensioni, cosa cambierà col governo Meloni: ecco come potrebbe muoversi

Nel suo discorso alla Camera in occasione del voto di fiducia, la premier Giorgia Meloni ha toccato anche il tema delle pensioni.

È una delle questioni che il governo di centrodestra dovrà inevitabilmente affrontare per prime.

Senza nuovi interventi, dal primo gennaio 2023 ritornerà la legge Fornero. La nuova maggioranza di centrodestra è in fibrillazione per scongiurare questa eventualità. I sindacati sono in pressing per il superamento dell’obbligo di andare in pensione a 67 anni. Giorgia Meloni ha detto che “le tutele adeguate vanno riconosciute anche a chi dopo una vita di lavoro va in pensione o vorrebbe andarci”. L’obiettivo sarebbe quello di agevolare la flessibilità in uscita con meccanismi che tengano conto dello stato della previdenza pubblica.

Per Meloni la priorità è un sistema pensionistico in grado di dare garanzie anche alle generazioni più giovani e a chi avrà la pensione calcolata soltanto col regime contributivo. Adesso però si rischia di tornare alla legge Fornero e il governo in carica ha poco tempo per muoversi.

L’ipotesi sul tavolo del governo

“Sapete perfettamente che non mi sottrarrò ai temi, li affronteremo anche ascoltando le istanze delle parti sociali e di tutti i soggetti portatori di contributi importanti, poi nei prossimi tempi lasciateci fare tutti i necessari passaggi. Ci mettiamo al lavoro. Anzi, vado al ministero del Lavoro” ha detto la neo ministra Marina Calderone dopo il giuramento al Quirinale. Ancora non c’è una proposta chiara, ma un’analisi della Fondazione studi dei consulenti del lavoro parla di una quota 100 o 102 flessibile, che dovrebbe permettere di andare in pensione ai lavoratori tra i 61 e 66 anni con 35 anni di contributi versati.

Una proposta che permetterebbe di evitare la legge Fornero e di cui potrebbero beneficiare 470mila lavoratori.

A fine 2022 scadranno quota 102, opzione donna e ape sociale. La prima misura prevede la possibilità del pensionamento anticipato a 64 anni con 38 anni di contributi. La seconda invece, come spiega l’Inps, “è un trattamento pensionistico calcolato secondo le regole di calcolo del sistema contributivo ed erogato, a domanda, in favore delle lavoratrici dipendenti e autonome che hanno maturato i requisiti previsti dalla legge entro il 31 dicembre 2021”. Opzione donna permette alle lavoratrici di andare in pensione a 58 anni con 35 anni di contributi. Mentre ape sociale, la terza misura, è un’indennità a carico dello stato e erogata dall’Inps a soggetti che si trovano in determinate condizioni stabilite dalla legge, che permette di uscire dal mondo del lavoro a 63 anni con 30 o 36 anni di contributi.

In ballo c’è anche quota 41 (sponsorizzata dalla Lega), che consentirebbe di uscire con 41 anni di contributi (a prescindere dall’età) o da 62 anni. Ma la manovra costerebbe 5 miliardi di euro all’anno.

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