Reddito di Cittadinanza, Meloni prepara il taglio: ecco chi lo perderà

Il RdC viene percepito da 2,3 milioni di persone, ma per almeno 660mila  di questi definiti “abili al lavoro” il rischio di perderlo è grosso in base alle misure che sta preparando il Governo Meloni. 

Il Reddito di Cittadinanza non piace al Centrodestra e al Governo Meloni. La leader di Fratelli d’Italia l’aveva fatto ben capire in campagna elettorale e durante la scorsa legislatura, per questo motivo il suo obbiettivo è quello quantomeno di riformularlo, riducendone la platea di coloro che potranno accedervi. In particolare le persone che sono “abili al lavoro” e che quindi non riceveranno più l’aiuto di Stato.

Secondo quanto riferito dall’Anpal (Agenzia Nazionale Politiche Attive Lavoro), attualmente ci sono 2,3 milioni di persone e 1,1 milioni di famiglie che percepiscono il Reddito di Cittadinanza. Di queste, circa 919mila sono state coinvolte in servizi per il lavoro, quindi rimangono circa un milione e mezzo di percettori a cui sottrarre però 66mila di inabili, 19mila che si trovano ai servizi sociali, oltre a 172mila che lavorano ma hanno redditi talmente bassi da avere richiesto l’integrazione del Reddito fornita dallo Stato per raggiungere la soglia minima minima.

ABILI AL LAVORO

Rimango quindi i cosiddetti abili al lavoro: si tratta di circa 660mila persone non occupate e in teoria capaci trovare una nuova fonte di sostentamento. Si tratta però di una fetta di popolazione che ha scarse competenze, se non nessuna: il 70% di questi ha solamente la licenza media, il 73% non ha lavorato negli ultimi tre anni, il 75% è residente nel Mezzogiorno. Si aggiunga inoltre che l’8% di questi “occupabili” ha più di 60 anni, il 20,5% tra 50-59 anni e il 42% è stato già preso in carico dai centri per l’impiego. La scelta di ridurre la platea del Reddito andrà a colpire quindi una fascia di popolazione estremamente debole, incapace di inserirsi con vago successo nel mondo del lavoro e che difficilmente avrà altro modo di affrontare le spese.

SALVINI: STOP DI 6 MESI AL RDC

Come se non bastasse arriva anche una richiesta di ulteriore stretta da parte di Matteo Salvini. Il leader della Lega chiede di sospendere per sei mesi la misura “a quei 900mila percettori del reddito che sono in condizioni di lavorare e che già lo percepiscono da diciotto mesi” e utilizzare le risorse per prorogare Quota 102 nel 2023. “Per realizzare il progetto nel 2023 secondo i calcoli dell’Inps serve poco più di un miliardo. Lo recupereremo sospendendo per sei mesi il reddito di cittadinanza a quei 900mila percettori del reddito che sono in condizioni di lavorare e che già lo percepiscono da diciotto mesi” ha affermato.

I DUBBI DELL’ESPERTA

Afferma la professoressa Chiara Saraceno, già presidente del Comitato Scientifico sulla valutazione del Reddito di Cittadinanza: “Il reddito è definito in base all’Isee, quindi al nucleo familiare. In una famiglia ci può essere chi è abile al lavoro e chi no. Come intervengono? Dicono, per esempio: lo daremo anche a chi ha figli minorenni a carico. Ma in realtà anche chi è occupabile e ha figli minorenni o disabili a carico dovrebbe essere accompagnato alle politiche attive. E ancora: se in una famiglia ci sono due genitori, due figli minorenni e uno maggiorenne, a quale dei maggiorenni potenzialmente occupabili della famiglia lo tolgo? E che impatto ha sulla famiglia che magari deve continuare a mantenere anche il maggiorenne che non lo riceve più?“.

È evidente che avere un’occupazione non basta per uscire dalla povertà, di cui questo governo ha evidentemente una visione astratta. Già il Rdc era iniquo per certi versi, con requisiti di ingresso troppo rigidi. Ora lo si porta all’estremo”. E sugli eventuali risparmi: “Questa è una cosa tremenda. Si può dire che il Reddito abbia bisogno di essere riformato, ma dire che si interviene per fare cassa, in un contesto in cui la povertà è tanta e sta aumentando e in molti sono esclusi, è immorale. Se poi si fa cassa per finanziare le pensioni di Quota 102 e simili è ancora peggio. Nel pieno della crisi energetica e dell’alta inflazione, che comportano il rischio di aumento della povertà, spostare soldi da chi sta male a chi può andare in pensione prima e che può permetterselo perché ha un buon livello di pensione (per lo più uomini, oltretutto) è profondamente immorale. Il conto che fanno è di un risparmio di 3 miliardi su 8: non vogliono aumentare il deficit, ma caricano i sacrifici su chi già adesso è povero” conclude.

Impostazioni privacy