Le mani della ‘ndrangheta sui panifici della Capitale: blitz sgomina locale dei boss

Maxi operazione sgomina locale dei clan calabresi a Roma. Il loro obiettivo era infiltrare il tessuto commerciale della Capitale.

Per penetrare nell’economia romana stringevano accorti e acquisivano le attività commerciali servendosi di prestanome e intestatari fittizi.

Un blitz ha portato ieri mattina all’arresto a Roma di 26 persone (24 in carcere e 2 ai domiciliari) e al sequestro di 25 società, per un valore complessivo di 100 milioni di euro. Gli arrestati sono accusati di associazione mafiosa, sequestro di persona e intestazione fittizia di beni.

L’operazione, condotta dalla Dia, dai carabinieri, dalla polizia e dalla Guardia di Finanza, segue quella di maggio nel corso dell’inchiesta “Propaggine” che aveva colpito la prima filiale della ‘Ndrangheta a Roma con 45 misure cautelari. Al vertice dell’organizzazione si trovava la famiglia degli Alvaro (in particolare Vincenzo Alvaro e Antonio Carzo, originari di Cosoleto). Stando a quanto emerso dagli accertamenti, gli indagati miravano ad acquisire il controllo delle attività in diversi settori: panificazione, pasticceria, ittico.

Il gip di Roma Gaspare Sturzo nell’ordinanza cautelare fa riferimento a “patti mafiosi” in piena regola “volti a garantire gli accordi imprenditoriali per infiltrare l’economia romana”.  Per penetrare nel tessuto economico della Capitale l’organizzazione si serviva in maniera sistematica di intestazioni fittizie in modo da coprire i veri titolari delle attività e commettere delitti contro il patrimonio, contro la vita e l’incolumità individuale e in materia di armi.

Uno schema ciclico per controllare le attività commerciali del territorio

Lo scopo era quello di egemonizzare le attività economiche sul territorio. Un obiettivo portato avanti anche con accordi con altre organizzazioni criminali. Le indagini hanno permesso la ricostruzione di uno schema rodato, applicato in maniera sistematica, di un modello finanziario “ciclico”. Un modello che prevedeva l’abbandono della società giudicata compromessa, il ricorso a una nuova società, l’acquisizione della ditta e dei contratti di locazione con tanto di distrazione di beni, insegne e avviamento dell’azienda della società da abbandonare, infine l’individuazione di nuovi prestanome grazie ai quali rimanere in possesso delle attività commerciali.

I vertici e i membri della locale romana, dopo aver acquisito gli esercizi commerciali, non di rado prendevano possesso anche degli immobili pagando, al momento dell’acquisto, un anticipo spesso insignificante. Un anticipo diluito poi in centinaia di rate. A garanzia presentavano delle cambiali che, come è emerso dalle intercettazioni, in realtà venivano saldate in contanti.

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