Untore Hiv condannato a 16 anni e 8 mesi per la morte della compagna

La corte d’appello di Ancona ha confermato la condanna di Claudio Pinti, l’untore Hiv, a 16 anni e 8 mesi: una sentenza che lo riconosce colpevole di omicidio volontario e lesioni gravissime verso la compagna e l’ex fidanzata.

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Nessuna variazione alla condanna di primo grado per Claudio Pinti, l’autotrasportatore di 39 anni affetto da Hiv che ha infettato volontariamente due sue partner. La compianta assente è Giovanna Gorini, morta proprio per le complicanze legate all’Aids, mentre l’ex fidanzata Romina era oggi presente in Aula.

Colpevole di omicidio volontario e lesioni gravissime verso entrambe le donne, Pinti dovrà quindi scontare 16 anni e 8 mesi di carcere e sarà ospitato nella struttura romana di Rebibbia.

La sentenza

La sentenza a Claudio Pinti, conosciuto anche con il nome di untore Hiv, è arrivata poche ore fa intorno alle 19,30. L’uomo era stato già riconosciuto colpevole nella sentenza di primo grado a causa del suo modus operandi perpetrato nei confronti delle sue partner, due donne contagiate volontariamente con il virus dell’Hiv e totalmente ignare della sua condizione clinica.

L’untore aveva nascosto sia alla compagna che alla ex fidanzata di essere sieropositivo, provocando la morte di una e il contagio dell’altra. Giovanna Gorini, madre di sua figlia, è infatti deceduta nel 2017 a causa degli sviluppi della malattia.

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Pinti, assistito oggi dal nuovo legale Massimo Rao Camemi (colui che ne aveva chiesto l’assoluzione) ha da sempre negato ogni sua eventuale responsabilità con la morte della donna, e ha continuato a negare anche oggi in Aula. L’untore avrebbe infatti dichiarato di essere stato onesto fin dal principio, e non solo di avere informato la Gorini di essere affetto dall’Hiv, quanto anche di aver avuto con lei dei rapporti sempre protetti.

Romina, invece, era presente in Aula: nei suoi confronti Pinti si è quindi mostrato diversamente, e addossandosi tutte le sue responsabilità le ha poi chiesto perdono. La donna ha inizialmente preferito non esprimersi durante la sentenza, ma ha poi rotto il silenzio del tribunale pronunciando parole dure e irremovibili davanti ai giornalisti.

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“Io alle sue scuse non ci credo“, ha affermato rassegnata: “lo conosco. Si è girato un attimo verso di me, ma la verità è che si possono dire tante cose, e io con le sue scuse non ci faccio niente. Sono stanca, sto tremando. Voglio solo che abbia una pena giusta e che rimanga in carcere”.

L’udienza è iniziata alle 10 di questa mattina e si è conclusa a pomeriggio inoltrato, precedendo di poco la Camera di Consiglio. Il legale avrebbe chiesto alle autorità i domiciliari, in modo tale da poter far proseguire correttamente al suo assistito tutte le cure e le terapie iniziate circa un paio di mesi fa. La corte però non si è smossa, e ora ad aspettare Pinti c’è il carcere romano.

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