Giuseppe Parretta ucciso a 18 anni: killer condannato all’ergastolo

Giunta in data odierna la sentenza emessa dalla Corte d’assise di Catanzaro: Salvatore Gerace, 57enne accusato dell’omicidio di Giuseppe Parretta, è stato condannato all’ergastolo.

Giuseppe Parretta

La Corte d’assise di Catanzaro ha oggi emesso la sentenza in merito all’omicidio di Giuseppe Parretta, ragazzo di soli 18 anni ucciso lo scorso gennaio 2018 da Salvatore Gerace. La Corte ha accolto la richiesta di condanna avanzata dal pm della Procura della Repubblica di Crotone, Ines Bellesi, e dalle parti civili: l’uomo, 57enne pregiudicato, è stato quindi condannato in via definitiva all’ergastolo, contestato dell’aggravante della premeditazione.

L’omicidio di Giuseppe Parretta

Salvatore Gerace è un pluripregiudicato di 57 anni, originario di Crotone, già segnalato alle autorità per spaccio di droga. Il movente che l’ha spinto ad uccidere Giuseppe Parretta è da ricondursi proprio a questa sua attività illecita, disturbata dal viavai continuo proveniente dall’Associazione di sua madre Caterina Villirillo.

Infastidito dalle donne che entravano e uscivano dall’associazione proprio davanti al portone di casa sua, disturbando i suoi traffici di droga, e convinto che il ragazzino potesse denunciarlo ai carabinieri, ha quindi scelto di agire con premeditazione.

Giuseppe è morto a causa di quattro colpi di arma da fuoco, sparati dalla pistola dell’uomo in un basso di via Ducarne, nel centro storico di Crotone, dove abitava insieme ai fratelli e alla madre, che l’ha tenuto stretto tra le braccia fino al suo ultimo respiro.

Giuseppe Parretta

Le parole della madre Caterina e dei legali

A fine sentenza, la madre ha parlato di meritata giustizia davanti ai giornalisti: “Adesso devo andare a casa a scrivere una lettera al mio Giuseppe. Domani è il suo compleanno, compie 20 anni e voglio dirgli che come regalo avrà giustizia. La giustizia che aspettavamo tutti”. E continua, tra le lacrime: “Questo è il mio regalo per lui. E’ una giusta sentenza anche per gli altri miei due figli. Stanotte dormirò e la mia missione andrà avanti”.

La donna è infatti Presidentessa dell’associazione Libere Donne, che aveva sede nello stesso appartamento in cui il giovane è morto, un’abitazione che dal 2009 aveva trasformato in un punto di ritrovo, di aiuto e di sostegno per tutte le donne vittime di violenze.

Oltre a lei, si è espresso anche il legale, l’avvocato Emanuele Procopio: “Dalla lettura del dispositivo della sentenza capiamo che il racconto dei testimoni oculari, la mamma di Giuseppe e i suoi figli, è stato creduto, mentre quello dell’imputato no. L’imputato ha offeso in aula Caterina e la sua famiglia e non ha mai chiesto né scusa né perdono”.

Sottolinea poi l’avvocatessa Jessica Tassone: “L’imputato attraverso dichiarazioni e manoscritti ha sempre provato a screditare Caterina, anche in funzione del suo operato con l’associazione Libere Donne. Persino oggi ha chiesto la parola per continuare questa campagna denigratoria. La spingeremo ad andare avanti. La sentenza non le restituisce il figlio, ma almeno giustizia è fatta e lei non resterà solo una vittima”.

 

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