Coronavirus, 41enne uscito da terapia intensiva: “Ho temuto di non facerla”

La testimonianza è quella di Michele Vitiello, 41 anni, intubato a Brescia dopo aver contratto il coronavirus. Uscito dalla terapia intensiva afferma: “Mi sento un miracolato”

coronavirus terapia intensiva
(Foto di Ian Waldie, da Getty Images)

In terapia intensiva non ci finiscono solo ultra 80enni, ormai è un dato. Michele Vitiello, 41 anni, è stato tra i più giovani pazienti intubati a Brescia a causa del coronavirus. E’ uscito dalla terapia intensiva solo dopo 14 giorni. Ma la malattia è durata più di 14 giorni. Quando è arrivato in ospedale, il 28 febbraio, era già stremato. Aveva già alle spalle una settimana di febbre alta. Michele racconta: “Per giorni non sono stato ascoltato perché mi chiedevano solo se ero stato a Codogno a Sant’Angelo Lodigiano o se ero stato in Cina”.

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A queste domande Michele rispondeva negativamente. Oggi afferma: “Non so come ho contratto il virus, ma so che ho avuto paura di non farcela“. Il momento peggiore, afferma, è stato quando gli hanno comunicato che sarebbe stato intubato. “È stato il momento in cui ho avuto paura di morire. Quando mi hanno detto che mi avrebbero intubato e che avrei dovuto avvisare a casa per comunicare che non c’erano certezze”.

Cosa accade dentro gli ospedali

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(Foto di Ian Waldie, da Getty Images)

Il tono drammatico della testimonianza è perfettamente in linea con le parole di altri sfuggiti alla terapia intensiva. Gianni Zampino, torinese, classe ’79, ha girato qualche giorno fa un video messaggio trasmesso dal Tg1. Nel video afferma: “In troppi prendono ancora la situazione sotto gamba”. Poi racconta la sua esperienza: “Il coronavirus mi ha stravolto la vita. Non è una banale influenza, non riesco a respirare. È una malattia che non conosciamo e che ti entra dentro. Ha ucciso la persona più cara della mia vita, mio padre. Restate a casa, non è un gioco”.

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Il virus colpisce in maniera diversa, da persona a persona. Può risultare asintomatico, può assomigliare a un’influenza, e può portare alla terapia intensiva. Il problema si aggrava quando il sistema sanitario collassa. La mancanza di un’adeguata cura delle prime avvisaglie potrebbe procurare gravi complicazioni anche per i più giovani. Si genera così un circolo vizioso. Il paziente peggiora anche a causa di un sistema sanitario sovraccarico che, per gestire il paziente in condizioni gravi, va ancora più in crisi. La testimonianza di una rianimatrice di Cremona: “Siamo stati travolti da questo ciclone. Il paziente di terapia intensiva è un paziente molto critico, deve essere messo a pancia in giù, per fare ciò ci vogliono almeno 4/5 infermieri con un medico”. Poi Elisa aggiunge: “Stiamo facendo turni di 12 ore”.

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