Mafia: si stringe la rete intorno al boss Messina Denaro

L’arresto e la condanna di Giuseppe Calcagno, 46 anni, e Marco Manzo, 55, assesta un duro colpo al “cerchio magico” del super boss latitante.

Matteo Messina Denaro in una foto d’archivio e – a sinistra – in una ricostruzione di come potrebbe apparire oggi

Una fuga che dura ormai da decenni: Matteo Messina Denaro è considerato uno dei grandi boss della mafia, uno dei super latitanti la cui cattura avrebbe un significato immenso, nella battaglia che lo Stato sta portando avanti nei confronti delle criminalità organizzate. E l’operazione conclusa poche ore fa, che ha portato all’arresto di due fiancheggiatori del boss, potrebbe essere il preludio di qualcosa di ancora più grosso. Giuseppe Calcagno, 46 anni, e Marco Manzo, 55 anni: sono questi i nomi dei due arrestati. La nuova operazione, che segue di due giorni un’altra retata di fedelissimi del padrino, assesta un altro colpo all’organizzazione delll’impero criminale e imprenditoriale di Messina Denaro. E mette in evidenza – anche grazie alle intercettazioni – un sistema di riti, pizzini, parole d’ordine, metafore criminali. “La ricotta è pronta?”: lo domanda uno degli “uomini d’onore”, che in realtà attende ordini proprio da Matteo Messina Denaro. Una frase nel linguaggio convenzionale della mafia, ripescata all’interno di un’inchiesta culminata con quindici indagati, tutti appartenenti alla cerchia  del super latitante. La “ricotta” è in realtà un ‘pizzino’, il mezzo classico del sistema di corrispondenza segreta reso celebre da Bernardo Provenzano. Le intercettazioni raccontano di uno scenario quasi cinematografico. “Ci vediamo alla mannara” dice don Vito Gondola, mafioso “vecchio stile” che usa parole che starebbero bene in bocca ai personaggi dei gialli del commissario Montalbano.  La “mannara” è un casolare delle campagne trapanesi: una specie di stalla, che serviva a ospitare le riunioni di mafia in cui si progettavano le intimidazioni e le operazioni necessarie per puntellare la rete degli interessi economici, oltre che criminali, di Cosa Nostra. E questo sistema, controllato dal boss diventato il simbolo della mafia moderna e spietata, era governato ancora attraverso i ‘pizzini’: bigliettini da leggere e poi da distruggere. Un video di qualche anno fa mostra don Vito Gondola che, recandosi alla “mannara”, nasconde un ‘pizzino’ sotto un masso.

Le colonne portanti di questo sistema erano proprio i due fedelissimi di Messina Denaro: Giuseppe Calcagno e Marco Manzo, entrambi arrestati. Non sono nomi che vengono dal nulla. Calcagno è stato un fedelissimo di Gondola, che negli anni Settanta fu coinvolto nel sequestro senza ritorno di Luigi Corleo, suocero dell’esattore Nino Salvo: il segnale più chiaro dei cambiamenti che stavano attraversando Cosa Nostra. Manzo è stato condannato a 4 anni per avere bruciato la villa di un consigliere comunale del Pd, Pasquale Calamia, che si era permesso di chiedere interventi più decisi per spezzare la latitanza di Messina Denaro. Gondola è morto tre anni fa: Calcagno e Manzo distribuivano i ‘pizzini’ del boss, organizzavano incontri, imponevano le loro regole nella cessione di fondi agricoli. Facevano insomma gli interessi degli “amici” ma soprattutto del padrino Messina Denaro di cui rimane traccia in un ritratto appeso a una parete in casa della sorella. Di lui non è stato trovato neanche un segno nella casa della madre ancora una volta perquisita senza risultati. L’inchiesta “Ermes fase 3” –  questo il nome della vasta operazione –  è una ricostruzione di storie di mafia vecchie e nuove, una rivisitazione di traffici e riti.Al centro, il “fantasma” Matteo Messina Denaro che forse, dopo questi arresti, è un pò più reale e meno “irraggiungibile” di quanto sia stato in questi anni.

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