Autostrade, Marco Ponti: con la revoca lo Stato potrebbe uscirne sconfitto

Marco Ponti, professore esperto di economia dei trasporti, in un’intervista a Open parla dei possibili risvolti dovuti alla revoca della concessione per porre fine al dossier Autostrade. Secondo Ponti, in quel caso, lo Stato rischierebbe di pagare 23 miliardi.

autostrade atlantia

Si fa sempre più teso il braccio di forza tra il Governo e Autostrade per l’Italia, quasi a ridosso dell’anniversario del crollo del Ponte Morandi il 14 agosto 2018, che causò la morte di 43 persone. Dopo mesi trascorsi tra tira e molla, la situazione stazionaria sembra ora arrivata a un punto di svolta. Resta da capire quale. Il consiglio dei ministri infatti dovrebbe riunirsi nella giornata di oggi per discutere della reale possibilità di una revoca della concessione. Una linea battuta da Conte, risentito per la proposta consegnata dalla società del gruppo Atlantia, holding della famiglia Benetton, una proposta che era stata etichettata come “uno scherzo“. Così il giudizio si è inasprito ulteriormente, e Conte è giunto ad affermare: “Lo Stato non può essere socio di chi prende in giro le famiglie del governo”. Ma all’interno della maggioranza non tutti sembrano d’accordo con la linea radicale del presidente del Consiglio. Ci pensano bene Italia Viva e parte del Partito Democratico, che sottolineano: una possibile revoca provocherebbe ulteriori spese sulle spalle dello Stato, risulterebbe troppo dispendiosa, per questo la concessione va lasciata ad Aspi, fiancheggiata dall’ingresso dello Stato nella società.

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conte autostrade

A sottolineare il prezzo della revoca è anche Marco Ponti, che afferma a Open: “Il pericolo di dover pagare quei 23 miliardi ad Autostrade è reale se non si trova un accordo”. Poi aggiunge: “Conte, nelle sue dichiarazioni, non sottolinea il rischio di un contenzioso. Io, come privato cittadino, mi auguro che la concessione sia tolta e si cominci a gestire la rete autostradale difendendo gli utenti, che pagano pedaggi troppo elevati. Ma non è questa la soluzione migliore”. Autostrade, infatti, si troverebbe in una botte di ferro grazie a un contratto molto vantaggioso per la famiglia Benetton: “Lo Stato ha firmato con Autostrade un pactum sceleris. Arriveranno, e costeranno care, le cause da parte del gruppo dei Benetton. Anche in caso di gravi mancanze, come potrebbero essere quelle per il Ponte Morandi, questo contratto scellerato è ambiguo e sembra garantire Aspi per i mancati profitti”. Conte si farebbe forza sulle “cattive o mancate manutenzioni legittimano lo Stato ad avanzare pretese risarcitorie consistenti”. Ma, secondo Ponti, il presidente del Consiglio non calcolerebbe l’evoluzione che potrebbe avere la questione quando il gruppo Benetton porterà le sue istanze a Bruxelles.

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Per Ponti, Conte “sottovaluta le cause che il gruppo porterà nelle sedi europee ed è qui che lo Stato potrebbe uscirne sconfitto. Non è che Bruxelles sia insensibile al grido di dolore dei cittadini italiani, ma tende a essere particolarmente sensibile al venir meno di un patto che il pubblico ha fatto con un privato. È il rischio regolatorio a cui l’Europa è molto attenta perché, se passa questo concetto della ‘revoca facile‘, i privati tendono a non fidarsi più dello Stato italiano perché ha dimostrato di poter cambiare le regole in corso d’opera. L’Europa non entra nel merito della vicenda che giustificherebbe eccome una revoca, ma è attenta che i patti, seppur scellerati ma firmati da ambo le parti, vengano rispettati”. Ponti propone allora la sua soluzione: “I pedaggi autostradali sono diventati una tassa iniqua che fa pagare agli utenti una cosa che è stata già ampiamente pagata. Detto ciò, io non vorrei che il ministero gestisca alcunché. Si limiti piuttosto a mettere in gara quei pochi investimenti che sono necessari nell’immediato, visto che il traffico è crollato con il Coronavirus. Come viene fatto per le strade statali. Poi, metta in gara dei tratti di tutta la rete autostradali e ripeta la gara periodicamente ogni 5-7 anni. L’importante è che la gestione sia a spezzatino e contendibile dopo un tempo relativamente breve: solo così si evita il rischio di cattura. Quando appaltante e appaltatore stringono un contratto che supera i 10 anni, aumenta vertiginosamente il rischio di cattura, o regulatory capture se volete dirlo all’inglese”.

 

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