Piacenza, l’unico carabiniere “pulito” era sconvolto, dicono gli inquirenti

Unico “pulito” all’interno della caserma della vergogna di Piacenza, il giovane carabiniere R.B. confidava al padre le sue enormi difficoltà ad interagire con i colleghi corrotti.

Un carabiniere “dall’atteggiamento solitario, che non fa gruppo”: così veniva descritto R.B., il giovane militare che – unico in tutta la stazione di via Caccialupi a Piacenza – sembra essere estraneo all’associazione criminale messa in piedi dai colleghi. Dalle carte dell’inchiesta di Piacenza emerge la figura di un neo carabiniere che si oppone, quanto meno non partecipandovi, a quello che per gli inquirenti era una vera e propria condotta criminale: pestaggi, arresti illegali, spaccio di droga, festini con escort dentro la caserma sequestrata. R.B. – sono queste le iniziali del ragazzo che appare la ‘mela sana’ in un contesto incredibilmente degradato –  raccontava al telefono i suoi dubbi sull’operato dei colleghi al padre, anche lui carabiniere, anche se in pensione. Da questi colloqui, scrive il giudice Luca Milani, emerge “tutta la delusione del giovane militare dell’Arma per essere finito a lavorare in un ambiente in cui vengono costantemente calpestati i doveri delle forze dell’ordine, dove tutto è tollerato a condizione che vengano garantiti i risultati in termini di arresti”. Secondo quanto riporta il magistrato, il ragazzo manifesta “una scarsa propensione a seguire i colleghi dovuta al suo forte disagio nel constatare le continue violazioni e gli abusi commessi all’interno della caserma di via Caccialupi”. “Molte cose le fanno a umma a umma, non mi piacciono” ripete più volte al genitore, riferendosi ai colleghi poi arrestati, e spiegando al padre di non voler attestare “di avere fatto in una tot data un qualcosa che poi non è neanche vero”, commettendo quindi un falso.

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“Non si può fare così!” gli dà ragione il padre, al quale il figlio racconta le molteplici violazioni compiute dai compagni di caserma i quali agiscono così per una ragione che appare evidente: “Se lo possono permettere perché portano a casa gli arresti”. “Perché a te colonnello – dice R.B. – ti faccio fare bella figura, capito? Ti porto un sacco di arresti l’anno! Lavorano assai, ma perché? C’hanno i ganci!”. E il padre: “Sì, sì, ho capito benissimo, io non sopporto questo modo di fare…”. “Non sono né carne, né pesce, non come comportarmi” commenta il giovane militare, in evidente difficoltà ad adeguarsi ad un andazzo che, dai colloqui con il padre, sembra già evidentemente molto al di là della legalità. “Tu devi stare in stand-by, sperando che tutto vada bene!”, ribatte il padre. R. commenta così: “Lascio un po’ passare così, anche passivamente, cioé non prendo tanto l’iniziativa!”. Il riferimento è alla stesura di un verbale falso a cui ha assistito, decidendo di non intervenire. Il padre, così sintetizza il giudice l’ultima parte del dialogo, gli dice che “tutto questo gli deve servire come bagaglio di esperienza e aggiunge che di ‘cose storte’ ne vedrà tante nei piccoli reparti e pertanto gli consiglia, una volta fatta la sua esperienza decennale, di continuare la sua carriera in reparti dove può stare tranquillo”.

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