Pensioni, nuovi ritocchi e la quota 100: riparte il confronto

La pausa estiva è terminata, martedì ripartirà il confronto tra governo e sindacati per tornare a lavoro sulle pensioni

Pensioni, quota 100 governo e sindacati confronti

Il nuovo appuntamento tra governo e sindacato è fissato per martedì 8 settembre. Ci sono i nuovi ritocchi da affrontare che dovranno essere inseriti nella nuova legge di bilancio. L’obiettivo è quello di prorogare ed estendere l’Ape sociale e Opzione donna. Non verrà trascurata nemmeno la riforma previdenziale che dovrà essere definita con un’apposita delega nella prima metà del 2021, per evitare lo scalone che si profila a inizio 2022 con la fine della sperimentazione triennale di Quota 100. Sarà infatti proprio questo il tema al centro della discussione tra l’esecutivo e Cgil, Cisl e Uil, già in calendario il 16 settembre.

Una proposta interessante

Una proposta molto interessante potrebbe non dispiacere al ministero del Lavoro: l’ipotesi per consentire le uscite a partire da 62, o 63, anni di età anagrafica e un’anzianità contributiva minima di 38 anni, o forse anche 36, prevedendo una penalizzazione, con l’aggancio pieno al sistema contributivo puro, sotto forma di riduzione del trattamento del 2,8-3% per ogni anno di anticipo rispetto alla soglia del pensionamento di vecchiaia (67 anni). Questo meccanismo, sarebbe utile anche, insieme agli ammortizzatori, per gestire le crisi aziendali dei prossimi mesi, in vista del prossimo spegnimento dell’attuale semaforo rosso ai licenziamenti.

La proposta ai sindacati, il quota 41

Questo tipo di proposta dovrebbe risultare gradita ai sindacati, che comunque si adopereranno per difendere il loro progetto di quota 41, cioè garantire a tutti i lavoratori, inclusi i cosiddetti “precoci”, il diritto al pensionamento con 41 anni di contributi, a prescindere dall’età anagrafica. Le parti, al di là delle loro posizioni, dovranno comunque fare i conti con almeno due punti: gli eventuali costi delle proposte in campo e il ripristino dell’adeguamento automatico all’aspettativa di vita per le pensioni anticipate, che è stato bloccato fino al 2026 dall’esecutivo giallo-verde Conte 1 con l’introduzione di Quota 100.

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Nel primo caso non si dovrebbe partire da zero, visto che si potrebbe attingere ai 3-4 miliardi di minor spesa che dovrebbero essere assicurati dall’appeal inferiore alle attese mostrato fin qui proprio da Quota 100, a meno che il confronto non orienti queste risorse su altri interventi presenti nel menù della trattativa, come ad esempio la creazione di una pensione di garanzia per i giovani, considerata prioritaria dai sindacati e dallo stesso Governo. Più complesso invece, appare l’ostacolo del ripristino del collegamento diretto tra uscite e speranza di vita. Comunque sia il restyling del sistema previdenziale dovrà vedere la luce non più tardi del prossimo anno, anche perché la riforma è stata di fatto garantita dal Governo alla Ue con il Pnr (Programma nazionale di riforma) che è stato inviato nelle scorse settimane a Bruxelles e che costituisce una sorta di anticipo del Recovery fund che dovrà essere messo in chiaro entro il 15 ottobre.

Pensioni governo sindacati, il confronto riparte

La manovra autunnale, il pacchetto

Non sarà la prossima manovra autunnale che eviterà lo scalone, che si prospetta tra le fine del prossimo anno e il 2022. Questa conterrà un pacchetto-previdenza destinato, nelle intenzioni del ministero del Lavoro, a raccordarsi con le misure in cantiere per favorire la staffetta generazionale, magari attraverso il rafforzamento del contratto di solidarietà espansiva da non limitare più soltanto alle imprese con mille dipendenti. Pronta al via c’è la proroga dell’Ape sociale da estendere a un numero maggiore di categorie impegnate in lavori gravosi e quella di Opzione donna tenendo conto anche dei casi di part time verticale. Sembra avere poche possibilità un’altra richiesta dei sindacati, quella dell’allargamento della platea dei pensionati che beneficia della cosiddetta 14esima mentre potrebbe tornare il ripristino dell’Ape volontaria o aziendale, chiusa l’anno scorso dopo la prima sperimentazione. Una misura che potrebbe essere presa in considerazione per consentire una flessibilità in uscita in più a 63 anni con minimo 20 di contributi, anche perché è a costo zero per lo Stato e potrebbe tornare utile per gestire ristrutturazioni aziendali.

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