Covid, ospedali al collasso: niente spazi per altre patologie. I motivi

Gli ospedali soffrono la seconda ondata di Covid-19. Reparti pieni di soggetti positivi, mentre si riducono al minimo gli spazi per coloro che soffrono di altre patologie. Il quadro, secondo i medici, è preoccupante.

ospedali covid

La seconda ondata di Covid-19 si è abbattuta sull’Italia. I nuovi casi di positività, attualmente, sono oltre 15 mila al giorno. In totale, più di 155 mila positivi attuali, tra ricoverati, sintomatici in isolamento domiciliare e asintomatici. Gli ospedali di gran parte delle regioni, a causa del continuo aumento dei contagi, sono al collasso. A salvarsi, finora, soltanto le terapie intensive. In tali reparti l’occupazione al momento si attesta al 30%. Un segno che il virus continua a diffondersi velocemente, ma per adesso causando ai malati danni più lievi. Nelle strutture sanitarie pubbliche non si trovano tuttavia più spazi per i pazienti che soffrono di altre patologie, i quali vengono spediti in altre sedi soprattutto per le visite programmate. Il quadro, secondo i medici, è molto preoccupante.

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Gli ospedali, nonostante ormai l’Italia combatta contro il Covid-19 da diversi mesi, non sono riusciti a prepararsi in modo adeguato alla seconda ondata del virus. In molte strutture sanitarie, infatti, mancano medici a sufficienza per gestire l’epidemia. Il dottor Ranieri Guerra, componente del Comitato tecnico scientifico del ministero e vice direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità, ha definito tale rete inadeguata in un intervento nel corso dell’ultima puntata di Agorà, in onda su Rai Tre: “Ci siamo ripetuti – ha detto – che la prima linea deve essere rafforzata. Eppure, la medicina generale e la pediatria di libera scelta sono settori che vengono coinvolti poco attivamente nella procedura di tracciamento“. Non si tratterebbe, dunque, di una mancanza di risorse, bensì di una errata gestione di queste ultime.

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Slittano i controlli per altre patologie negli ospedali

Le strutture sanitarie, inoltre, non riescono a gestire i pazienti positivi al Covid-19 e, allo stesso tempo, quelli che soffrono di altre patologie. È il caso, ad esempio, dei pazienti oncologici, i quali hanno subito numerosi disagi nonostante le loro cure vengano definite di carattere urgente. A parlarne è Giordano Beretta, presidente dell’Associazione italiana oncologia medica: “Questa pandemia – ha spiegato – ci lascia una pesante eredità. Controlli posticipati, trattamenti rinviati. Sono tutti fattori che comportano un aumentato rischio di ritrovarci presto con neoplasie in fase avanzata. Nei primi cinque mesi di quest’anno abbiamo avuto un milione e 400 mila esami di screening in meno rispetto allo stesso periodo del 2019, nessuna Regione è tornata a regime, anche per ostacoli di carattere amministrativo“.

Ad unirsi al coro è Ciro Indolfi, presidente della Società italiana di cardiologia, il quale ha evidenziato i danni ai suddetti reparti negli ospedali: “Già durante la fase emergenziale – ha raccontato – il rinvio degli interventi di angioplastica coronarica nei malati di cuore ha avuto gravissime conseguenze. Ora, a fronte dell’arrivo di una nuova ondata di contagi, non vogliamo rischiare di trovarci come a marzo, quando i pazienti con infarto non andavano al pronto soccorso per paura“.

I ritardi in questione, nel lungo periodo, rischiano di causare un numero di vittime ancora più rilevanti rispetto a quelle del Covid-19. Il virus, anche al termine dell’epidemia, potrebbe infatti causare ulteriori problemi su altri fronti. Lo ha spiegato il direttore sanitario dell’ospedale di Valduce, Claudio Zanon: “Siamo di fronte a un nemico subdolo, che si è dimostrato capace di colpire il polmone ma anche il cervello, il cuore, il rene e l’apparato gastrointestinale. Con Motore Sanità abbiamo deciso di organizzare un webinar sulle complicanze per spingere le istituzioni a farsi carico di problemi che talora si possono palesare a distanza di tempo, come – ha concluso – l’epidemia da influenza spagnola ci ha insegnato“.

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Una delle soluzioni attuali a questi rilevanti problemi spesso sono costituite dalle strutture sanitarie private o dalle associazioni di volontari. Le Usca, Unità speciali di continuità assistenziale, ad esempio, si occupano di continuare a seguire i pazienti meno gravi a casa. Talvolta hanno il dovere di recarsi anche, con i dovuti dispositivi di protezione e le precauzioni necessarie, da persone che potrebbero essere positive. Anche tra le loro fila, tuttavia, la carenza di medici e infermieri è rilevante.

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