Covid, la Svizzera si prepara: “Niente terapia intensiva per gli anziani”

La Svizzera ha definito le linee guida da seguire nel caso in cui si arrivi al sovraffollamento degli ospedali a causa del Covid-19. Gli anziani di più di 85 anni non potranno accedere alla terapia intensiva.

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La Svizzera sta registrando dati relativi ai casi di Covid-19 allarmanti. Il rapporto è di 494,9 casi ogni 100 mila abitanti, circa il doppio rispetto all’Italia. Il Governo, per questa ragione, è corso ai ripari. È stato ribadito infatti il protocollo di cure che le strutture sanitarie dovranno seguire in caso di sovraffollamento delle terapie intensive. Esso si basa sulle diverse fasce di età della popolazione e su eventuali patologie pregresse. I soggetti più deboli, ovvero anziani e malati, resteranno fuori.

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Il protocollo sanitario

Il protocollo di cure, denominato, “Triage dei trattamenti di medicina intensiva in caso di scarsità di risorse“, è stato elaborato dall’Accademia Svizzera delle Scienze Mediche e dalla Società Svizzera di Medicina Intensiva e, formalmente, è in vigore dal 20 marzo, dunque dall’inizio della pandemia. Finora, tuttavia, il Paese non ha avuto necessità di metterlo in atto. Adesso la situazione sta cambiando. Per questa ragione, in vista di un picco drammatico nei casi di Covid-19, il Governo ha ribadito le linee guida che gli ospedali dovranno seguire in caso di sovraffollamento.

Il documento indica con precisione i limiti di età per le cure in relazione allo stato di affollamento delle strutture ospedaliere. Al livello A, che prevede letti in terapia intensiva disponibili ma risorse limitate, non verranno ammessi in terapia intensiva i soggetti di età superiore agli 85 anni e quelli più di 75 anni con gravi patologie come arresto cardiocircolatorio ricorrente, malattie oncologiche con aspettativa di vita inferiore a 12 mesi, demenza grave, insufficienza cardiaca di classe NYHA IV, malattie degenerativa allo stadio finale.

Al livello B, con indisponibilità di letti in terapia intensiva, invece, non andrebbe fatta alcuna rianimazione cardiopolmonare. Ai criteri già citati si aggiunge infatti almeno una patologia pregressa tra cirrosi epatica, insufficienza renale cronica stadio III, insufficienza cardiaca di classe NYHA superiore a 1 e sopravvivenza stimata a meno di 24 mesi. Le cure, dunque, potrebbero diventare un privilegio donato ai pazienti dalle stime dei medici, oltre che una questione anagrafica.

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I medici: “Razionamento necessario”

Il protocollo, secondo gli accademici, risponde alla necessità di prendere decisioni di razionamento in modo obiettivo. Il fine è di prendere decisioni nell’ottica del contenimento del numero di malati gravi e morti. Non mancano, tuttavia, i dubbi tra il personale sanitario in merito al da farsi.

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Quando è uscita questa direttiva siamo saltati sulla sedia. Decidere chi rianimare e chi no è pesante, pesantissimo per qualsiasi medico. Ma questo documento, che è pubblico, è a garanzia dei medici e degli stessi pazienti che potrebbero non aver voglia di essere sottoposti a ulteriori cure. Ogni decisione spetta ai comitati etici degli ospedali. Non mi risulta che sia già successo, ma siamo molto preoccupati“, ha spiegato Franco Denti, presidente dell’Ordine dei Medici del Canton Ticino.

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